venerdì 10 dicembre 2010

Il cuore a due cilindri.


Questo è un libro sull’amore. Anche se dalla copertina potrebbe non sembrarlo affatto, in realtà lo è.
Probabilmente adesso qualcuno inizierà ad avere dei dubbi o magari incomincerà a sfogliare freneticamente i capitoli. Forse potremmo anche giocarci qualche lettore non troppo motivato.
Non ce ne frega assolutamente niente.
L’amore di cui si parla è di una categoria particolare: quello verso le motociclette.




Tuttavia, descriverlo così risulta ingiustamente riduttivo, visto che innamorarsi di un oggetto meccanico, non è di norma cosa da persone intelligenti.
Forse la definizione migliore è l’amore verso ciò che le motociclette rappresentano, o ancora meglio, verso ciò che una motocicletta può far provare a ognuno di noi.
La moto che mi ha spinto a scrivere questo libro è la mia Harley-Davidson, ma niente paura: vi assicuro che qui non troverete le solite cazzate sulle highway americane, il vento sulla faccia e robe simili.
No, perché l’amore a cui faccio riferimento è un sentimento molto più complesso, qualcosa che si nasconde negli angoli più profondi e sconosciuti della nostra anima.
Un’emozione che va ben oltre la marca e il motore della nostra moto, ma piuttosto una sensazione che stava annidata lì, ben prima che qualcosa ci spingesse a diventare un motociclista, o per lo meno a provarci.
Un sentimento strano e sovversivo, sempre pronto a saltar fuori e a prenderci per la gola, facendolo quasi sempre nel momento meno opportuno.
Non tutti hanno la fortuna di averlo, non tutti hanno la capacità di controllarlo, ma questo in realtà non è un problema.
Fino a quando l’avrà vinta sulla nostra mente e su quello che siamo diventati, facendoci galoppare anche solo per un istante negli spazi luminosi dei nostri sogni, beh, ragazzi, allora saremo ancora in tempo.

Insomma, arriva un certo momento della propria vita in cui ci si compra una Harley-Davidson.
In realtà, il processo che ci porta a questa bizzarra conclusione è tutt’altro che naturale.
Per esempio, alcuni se la comprano perché sentono che nel loro parco macchine manca un oggetto che sia l’equivalente a due ruote di una Porsche Cayenne.
Altri lo fanno perché sono convinti che le Harley-Davidson possano essere un utilissimo modo di aumentare le proprie quotazioni con le ragazze, altri ancora sono stregati da un colpo di fulmine a due cilindri, che di solito dura lo spazio di una stagione.
In effetti non sono molti quelli che arrivano a possedere una Harley seguendo una naturale evoluzione, passando cioè attraverso una lunga serie di moto che li fanno maturare portandoli verso the real thing.
Ma tutto ciò non ha alcuna importanza; ciò che conta davvero è che, a partire da un certo giorno della vostra vita, inspiegabilmente iniziate a pensare più o meno ossessivamente a una Harley-Davidson.
Quest’oscura e impellente concupiscenza motociclistica capita soprattutto con le Harley-Davidson e la ragione, ancora oggi ignota a tutti, va cercata nelle misteriose alchimie dell’innamoramento piuttosto che nelle fredde valutazioni di marketing o nelle più razionali logiche tecniche.
E non potrebbe che essere così, visto che le Harley sono moto che logicamente nessuno si comprerebbe mai. Innanzi tutto costano molto più delle loro pari, di solito hanno prestazioni inferiori, sono certamente più pesanti, portano immediatamente a ebollizione i polpacci della vostra fidanzata e consumano una cifra.
Non avventuriamoci per ora nell’insidioso universo dei pezzi di ricambio e delle officine autorizzate, ma indugiamo ancora per un po’ nel meraviglioso pianeta dell’innamoramento. Credo che non ci siano altri modi per giustificare l’impressionante impennata di vendite di queste motociclette in Italia e in tutto il mondo: il colpo di fulmine, signori, null’altro.
La potete incrociare ferma a un semaforo o vederne una bella foto su “Freeway Magazine” o “Low Ride”. Magari ne individuate una che parcheggia sempre al solito posto sotto casa vostra o vicino al vostro ufficio e poco alla volta vi scoprite a cercarla ogni mattina. Quello è il momento in cui il seme ha trovato un nido nel vostro cuore (ribadisco: nel cuore, non nella vostra mente) e inizia a germogliare.
Iniziate così a immaginarvi a cavallo della vostra nuova Harley-Davidson nei luoghi più disparati; mentre raggiungete la Liguria attraverso la tortuosa autostrada di Serravalle o mentre attaccate i primi tornanti del vostro passo di montagna preferito o anche solo mentre la parcheggiate nel garage e vi fermate a osservarla mentre si raffredda.
Ma ormai non avete più scampo.
Immaginarvela nel garage è di solito l’immagine più seducente, forse perché l’innamoramento significa innanzi tutto possesso; è come lo struggente desiderio di possedere una ragazza, di poterla considerare la vostra ragazza. Ed è allora che iniziate a sognarvi di telefonarle e di trovarla disponibile, di passarla a prendere e trovarla lì ad aspettarvi sotto il portone. Quando inizierete a immaginare la vostra nuova Harley-Davidson che vi aspetta silenziosa nella penombra del vostro garage, la vostra anima sarà perduta per sempre e la vostra mente non avrà più alcun potere su di lei.
Quindi partiamo dal presupposto che ormai non potete più fare a meno di una moto americana, più precisamente di una con due cilindri e un marchio le cui iniziali sono H e D: da questo momento, come ogni innamoramento, per voi iniziano anche i problemi.
Un vecchio saggio disse: “If it has tits or wheels, then you’ve got a problem” (se ha tette o ruote, avrai sempre problemi!).
E i problemi arrivano già prima di comprarla: il primo dei quali potrebbe essere quello che non possedete il garage del sogno, o più probabilmente non avete i soldi necessari né per acquistare la moto né per prendervi anche il garage (il cui costo è comunque dello stesso ordine di grandezza). Talvolta è possibile che non abbiate neppure la minima idea di come si guida una motocicletta.
Tuttavia al vostro cuore, ormai completamente preda del sogno, non potrebbe fregare di meno di tutte le obiezioni che sia la vostra mente che vostra moglie cercano di sottoporvi.
È inutile, il colpo di fulmine non si arresta davanti a nulla: le giustificazioni e le vie di uscita nasceranno immediatamente, con soluzioni irrealizzabili che al momento vi sembreranno geniali: sloggiare la Citroën Saxo di vostra moglie dal garage, rinunciare alle vacanze estive con la vostra fidanzata per sette anni di seguito, vendere il vostro Jack Russel Terrier per un nuovo paio di silenziatori Screamin’ Eagle.
Ogni problema troverà immediatamente una “brillante” soluzione che consentirà al vostro sogno di potersi finalmente realizzare. Forse.

La mia medicina per quando la banca, i capi e i francesi superavano il mio livello di sopportazione era un viaggio con i miei amici.
In verità anche l’equilibrio con Giovanna si armonizzava miracolosamente dal momento in cui le ruote della mia moto incominciavano a rotolare su qualche vecchia statale abbandonata.
Era la sensazione impagabile di poter controllare anche la mia vita, oltre alla moto, e di poterle imprimere la direzione che volevo, con un colpo d’anca.
Il problema non stava nella mia vita di tutti i giorni, nella mia famiglia, o nel lavoro. Non era la voglia di fuggire il mio presente, ma sapevo che nel profondo la mia anima custodiva una scheggia fatta di rock’n’roll e di curve in terza piena che a volte reclamavano la mia presenza per un po’. La moto è il mio personale di affrontare le cose, e non necessariamente il meno faticoso.
Se si sceglie la moto per le proprie esigenze, non si è per forza motociclisti: si sta identificando il mezzo di trasporto più idoneo. Che è diverso. Ecco perché proliferano gli scooteristi, i caschi integrali multifunzione, il BMW C-1 o addirittura le moto a tre ruote.
Per me andare in moto equivale a essere un motociclista, quindi è qualcosa di più. Non uso la moto perché c’è traffico o perché c’è un bel sole, né tanto meno per “fuggire dalla vita di tutti i giorni”: palle.
La moto per me è uno stato mentale: la consapevolezza del fatto che qualsiasi cosa stia facendo, io resto un motociclista. C’è sempre un angolo del mio cervello impercettibilmente sintonizzato su quel mezzo a due ruote. Penso alle modifiche da apportare, ai prossimi viaggi, alle ultime sensazioni provate in sella.
E aggiungo che non amo “le moto” in generale: amo la mia moto, quella che ho scelto e che m’identifica perfettamente, che mi fa sentire completo.
È robusta anche se non va fortissimo, è affidabile e generosa, ha una storia e grandi significati legati al passato. Ha un’estetica originale, perché l’ho trasformata piano piano. È unica.
A volte mi fermo a pensare cosa ci sto a fare in moto con una Belstaff anni Settanta e un vecchio casco jet sotto la pioggia, o all’Elefantentreffen, o a 40 gradi sotto il sole africano e ho la vaga impressione che io stia facendo una cazzata; ma nello stesso tempo mi sento più vivo, totalmente padrone delle mie decisioni e della mia libertà, in totale controllo delle mie scelte.
E sono felice, perché sento che sto vivendo esattamente quello che ho deciso di vivere e nel modo che volevo.
È una sensazione esclusiva e privata, la stessa che unisce i motociclisti mentre s’incrociano e si salutano su qualche oscuro tornante, magari verso una meta che ha un senso solo perché l’hai scelta tu come punto di arrivo.
E la consapevolezza che tutti e due, per quell’attimo, stanno provando gli stessi sentimenti.


E all’improvviso l’ho vista. Era lì per me, mandata dal dio dei biker per fare nuovi proseliti: e il prescelto, quel giorno, ero io.
Né il mio cervello né il mio conto in banca erano pronti per quell’esperienza. L’unico che sembrava sapere già tutto era il cuore.
E il tempo era arrivato.





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