giovedì 25 febbraio 2010

Honda Fury VT1300CX


articolo tratto dal mensile Dueruote:
http://www.motonline.com/prove/articolo.cfm?codice=231734

La Casa giapponese invade anche quest'ultima nicchia di snob e di anticonformisti. Vedremo come reagiranno


Il chopper Honda




In qualità di maggior costruttore al mondo di mezzi motorizzati a due ruote e nonostante la crisi globale, nel 2009 la Honda ha prodotto 15 milioni di veicoli. La maggioranza di questi (più di 13 milioni) è costituita da mezzi destinati al commuting di cilindrata inferiore ai 150 cc, eppure, con la nuova Fury VT1300CX, la casa di Tokio ha deciso di inserirsi per la prima volta in un settore di mercato dove non ha mai messo piede (così come nessun altro costruttore non americano): quello dei chopper.
Si tratta di una piccola nicchia del mondo motociclistico che una volta era preservata da centinaia di piccole realtà statunitensi, spesso costituite da un singolo specialista, che a partire dagli anni Sessanta hanno iniziato a costruire moto con il retrotreno rigido e una lunghissima forcella in segno di insubordinazione e anticonformismo rispetto a tutto ciò che rappresentava lo status quo di allora


Sette anni di gestazione
Molto spesso queste special erano terribilmente scomode da guidare, ma nonostante ciò il film Easy Rider le ha definitivamente consacrate nell'immaginario collettivo come icone del senso di libertà e della voglia di evasione.
Ma, come dice il detto "chi la fa l'aspetti", proprio in virtù della loro natura non convenzionale rispetto agli altri tipi di moto, i chopper sono gradualmente diventati il simbolo chic e cool del mondo custom, evolvendosi per mano di personaggi come Indian Larry, Von Dutch e Jesse James in vere e proprie opere d'arte a due ruote vendute a caro prezzo. Tutto ciò ha dato vita a un'intera industria, dalla quale sono emerse aziende come Big Dog, American IronHorse, Saxon e altre, capaci di realizzare piccole serie di modelli esclusivi che, caratterizzati da un'estetica quanto mai appariscente e spinti da motori simili al classico bicilindrico Harley-Davidson, vanno a costare decine di migliaia di dollari.
Il fenomeno chopper, dunque, ha vissuto un percorso che l'ha portato in un contesto diametralmente opposto a quelle che sono state le sue origini. Un'evoluzione inaugurata nel 1980 dalla stessa Harley con il modello FXWG Wide Glide, che rappresenta il primo vero chopper specificatamente progettato e prodotto in serie da un'azienda invece di essere realizzato in modo artigianale da qualche specialista.



Il fatto che realtà importanti come Harley-Davidson e Victory costruiscano dei chopper "chiavi in mano" ha dunque trasformato un oggetto di culto in un ben distinto segmento del mercato motociclistico, ma la cosa ancor più sorprendente e che questa cosa abbia attirato anche i costruttori giapponesi.
Attraverso la commercializzazione della Fury, infatti, la Honda ha dato completa e definitiva credibilità al genere chopper, nonostante la Yamaha avesse già fatto un tentativo in tal senso con la XV1900 Raider, cruiser "mezzosangue" parzialmente derivata dalla Midnight Star e, soprattutto, totalmente svincolata dai canoni propri del genere chopper. Insomma, definire la Raider come un chopper equivale a dire che la Harley-Davidson V-Rod è una Superbike: il motore può anche andare bene, ma la struttura generale del mezzo e la parte stilistica certamente no!
La Honda Fury VT1300CX, invece, ha tutte le carte in regola, essendo frutto di un progetto quinquennale specificatamente sviluppato per il mercato statunitense, dove è stato lanciato la scorsa primavera. Essa rappresenta un oggetto che avrebbe certamente suscitato l'approvazione di Capitan America e Billy, i protagonisti di Easy Rider, grazie alle sue forme sinuose e allungate.
La Fury è stata disegnata dal centro stile della HRA (Honda Research America), in California, grazie anche al contributo del guru Jesse James, ed è poi stata industrializzata nel quartier generale Honda in Giappone, un processo che ha "costretto" il responsabile di progetto giapponese a vivere negli Stati Uniti non meno di sette anni!
Pertanto stiamo parlando di un modello dalla lunga gestazione, inquadrato in una strategia per cui la HRA sottopone alla dirigenza giapponese delle concept bike che potrebbero interessare ai clienti americani. "Quando il nostro reparto di ricerca e sviluppo è alle prese con un nuovo modello, ogni persona coinvolta nel progetto si concentra sugli aspetti della moto che vorrebbe enfatizzare; sul 'cosa succederebbe se…?' – spiega Ray Blank, vice presidente della Divisione Due Ruote di Honda America e, probabilmente, figura di maggior rilievo per quanto riguarda l'influenza del mondo occidentale nei confronti della casa madre – In questo modo, a partire dal sei cilindri della Gold Wing, abbiamo creato la custom Valkyrie, la prima vera power cruiser con i muscoli in bella vista e, al tempo stesso, una linea accattivante. Per certi versi, questo modello ha avuto un successo addirittura inaspettato, perciò intendiamo continuare su questa strada, andando a esplorare nuovi segmenti con moto di grande personalità, superando i limiti che, di solito, hanno i costruttori su larga scala".


Il lato ribelle della Honda
Con questo approccio è stata realizzata anche la Valkyrie in versione Rune, bassa cruiser a sei cilindri dal look fumettistico che la Honda ha introdotto nel mercato USA circa cinque anni fa e che, subito dopo, ha "innescato" la creazione della Fury. Quest'ultima, tuttavia, non verrà venduta soltanto negli Stati Uniti, dove è proposta a un prezzo di 12.999 dollari, ma in tutto il mondo. Si tratta, dunque, di un prodotto relativamente economico se confrontato con altri modelli, come ad esempio la Harley-Davidson Rocker C Softail, che costa 19.499 dollari, o la più sobria versione Wide Glide 2010, offerta a 14.499 dollari.
Tuttavia, il fatto che la Honda produca un chopper che chiunque può comodamente acquistare sotto casa dal proprio concessionario, come si usa fare con un tagliaerba o un generatore, suona un po' strano, al pari di una Ferrari station wagon o di una MV Agusta da granturismo… D'altra parte, però, solo così era possibile persuadere le nuove generazioni di potenziali clienti cui la Fury si rivolge, gente che non ha ancora il coraggio di abbandonare definitivamente i propri panni borghesi per vestire quelli di un moderno Peter Fonda lanciato sulle Highway a bordo del suo chopper, con la consapevolezza che si tratta comunque di una Honda, a parziale giustificazione di un acquisto tutt'altro che razionale.
"Grazie alla Fury è possibile esplorare il lato ribelle della Honda… Nonostante ciò, tuttavia, questo modello è fatto esattamente con la stessa cura, la stessa qualità e la stessa tecnologia di tutti gli altri prodotti Honda", recita la cartella stampa di questo modello, nel tentativo di unire due opposti: da una parte il fatto che possedere una moto del genere rappresenta un gesto anticonformista, dall'altra la garanzia di un marchio che dà sicurezza perché sinonimo di affidabilità… La Fury è al tempo stesso la bella e la bestia, insomma, un concetto radicale inserito in un contesto funzionale, una moto che non ha neppure bisogno del logo del proprio costruttore per essere identificata. Le uniche scritte Honda che compaiono su di essa, infatti, sono quelle ai lati del motore, sul parafango posteriore e sui piccoli fianchetti laterali cromati


Piacevole e dinamica.
L'opportunità di trascorrere un giorno intero a bordo della Fury, percorrendo la Pacific Coast Highway da Los Angeles a Marina del Rey passando per Ventura e Santa Barbara, ha confermato esattamente le anticipazioni fornite dalla Honda, oltre al fatto che una moto del genere non passa certo inosservata, neppure agli occhi dei non-motociclisti, a giudicare dagli sguardi che attrae ovunque si trovi.
Dal punto di vista estetico, infatti, la Fury non ha niente da invidiare ad altri chopper più blasonati, ma rispetto ad essi risulta senza dubbio più pratica e piacevole da condurre. Non appena ci si accomoda sulla sella, posta a soli 678 mm da terra, si ha modo di apprezzare una posizione di guida abbastanza razionale per gli standard della categoria, con il manubrio piacevolmente arretrato e non troppo alto. La sella, dalla forma molto particolare, risulta anche piuttosto comoda, perfino quando si percorrono tragitti molto lunghi, forse anche perché le pedane, sistemate in posizione avanzata, non costringono le gambe del conducente ad allungarsi in modo eccessivo, pur creando qualche problema di luce a terra non appena ci si lascia prendere dal minimo entusiasmo nell'affrontare le curve…
Il lungo e stretto serbatoio a goccia da 12,8 litri di capacità se ne sta "appollaiato" sopra il telaio in tubi e le sue forme sono assolutamente in sintonia con lo stile chopper, così come il cannotto di sterzo posizionato molto in alto, tale da lasciare un evidente spazio vuoto tra quest'ultimo e la testa del cilindro anteriore. Il serbatoio garantisce un'autonomia di 240 Km prima che la spia, posta sulla sobria strumentazione in stile anni Cinquanta, (che tuttavia integra anche un discreto display digitale che indica, tra l'altro, due chilometraggi parziali e l'orologio) si accenda facendo presente che è tempo di rifornimento. Gli specchietti retrovisori sono abbastanza funzionali, ma rappresentano anche gli unici particolari in acciaio cromato oltre al bellissimo impianto di scarico con doppio terminale sovrapposto sul lato destro. Tutto gli altri, come i fianchetti laterali, la cornice della strumentazione, gli indicatori di direzione, la calotta del faro e alcune cover del motore sono in materiale plastico. Questa scelta è stata attuata non tanto per una questione di risparmio, quanto per contenere il peso del veicolo, che a secco è di 297 Kg (valore assolutamente accettabile per gli standard del genere, visto il baricentro particolarmente basso).
Al di là del suo look, infatti, la Fury si fa apprezzare anche per le sue doti dinamiche, che emergono non appena si gira la chiave di avviamento posizionata in mezzo ai cilindri sul lato sinistro, come sulle Harley-Davidson, e il bicilindrico Honda prende vita, accompagnato da una tonalità di scarico abbastanza contenuta. Questa unità a V di 52°, caratterizzata da una cilindrata di 1312 cc e da tre valvole per cilindro (due di aspirazione e una di scarico), fa in un certo senso parte del bagaglio vintage della casa giapponese, visto che la sua prima versione risale al 1982 con la VT Shadow. Tuttavia, questa è la prima volta che la serie VTX1300, introdotta nel 2003, viene equipaggiata con l'iniezione elettronica, nella fattispecie l'ultracollaudato sistema PGM-F1 con singolo corpo farfallato Keihin da 38 mm dotato di arricchitore automatico (non c'è pertanto il comando dell'aria).


Una ciclistica ben riuscita.
Le misure caratteristiche della cilindrata vedono 89,5 mm di alesaggio e 104,3 mm di corsa, in modo da garantire una ricca quantità di coppia nonostante la cilindrata relativamente piccola rispetto, ad esempio, al più massiccio e meno trattabile VTX1800, che a sua volta non avrebbe certo deluso le aspettative dei clienti americani, da sempre amanti delle grosse cubature. Tuttavia, l'adozione dell'unità da 1795 cc avrebbe costretto i tecnici e i designer della HRA a ridimensionare numerosi elementi (come il serbatoio, più grande per assicurare la dovuta autonomia, il radiatore del liquido di raffreddamento, che sulla VT1300CX risulta difficile da maggiorare essendo sagomato in modo tale da inserirsi perfettamente tra i tubi anteriori del telaio, lo scarico e l'airbox), privando la Fury di quello che loro stessi chiamano lo "spazio negativo".
Ad ogni modo, con i suoi 56 CV a 4250 giri, il bicilindrico che equipaggia questo chopper risulta prestazionalmente adeguato, soprattutto a fronte dei 107 Nm disponibili ad appena 2.250 giri. In realtà, la sensazione è che il picco di coppia corrisponda a un regime di rotazione ancora inferiore (sulla Fury non è presente alcun contagiri per verificarlo), ma quel che è certo è che l'intervento del limitatore sia settato fin troppo vicino ad esso. L'erogazione viene infatti interrotta sul più bello, impedendo il superamento dei 55 Km/h in prima marcia e dei 95 Km/h in seconda, cosa che può risultare fastidiosa quando si affronta una manovra di disimpegno a uno stop o a un incrocio.
La Fury offre comunque un livello sufficientemente basso di vibrazioni e quelle poche avvertibili contribuiscono a valorizzare il carattere del motore, senza pertanto infastidire il conducente neppure all'aumentare dei giri.
Grazie all'interasse più lungo di qualunque altra Honda prodotta fino ad ora, ben 1805 mm conseguenti a un angolo di caster pari a 38°, la Fury risulta ovviamente stabilissima alle alte velocità, anche se la gestione elettronica del motore impedisce di andare oltre i 160 Km/h, rendendo di fatto l'adozione dell'enorme pneumatico posteriore da 200 mm di larghezza un vezzo quasi puramente estetico.
Nella definizione della parte ciclistica, la Honda si è inoltre avvalsa di un classico accorgimento diffuso tra i chopper (e ripreso anche sulla Harley-Davidson V-Rod), che consiste nell'aver sfalsato l'inclinazione della forcella Showa a steli tradizionali da 45 mm rispetto a quella del cannotto (che in realtà è di "soli" 32°) attraverso un diverso avanzamento delle piastre di sterzo. Ciò ha determinato un valore dell'avancorsa di appena 90 mm (inferiore a quello di molte supersportive), con il risultato che la Fury ha un comportamento assolutamente neutro e prevedibile, oltre a una maneggevolezza di tutto rispetto se paragonata alle sue geometrie, compresa la stretta (90/90) ruota anteriore da 21", che contribuisce a rendere poco faticosa la gestione dell'avantreno.


Sulla carta, la forcella vanta una corsa di 102 mm, ma la sua eccessiva inclinazione fa sì che tenda a impuntarsi sulle eventuali asperità dell'asfalto piuttosto che assorbirle, tenendo fede alla tradizione che vuole i chopper abbastanza spartani in tal senso. Le cose vanno un po' meglio al retrotreno dove, pur non potendo contare sui 94 mm di escursione dichiarati, il sistema cantilever con ammortizzatore Showa regolabile nel di freno idraulico in estensione e su cinque posizioni di precarico molla (attraverso un pratico pomello nascosto sotto il fianchetto laterale destro), permette di ottenere un comfort di guida accettabile da quello che, non bisogna dimenticarlo, ha pur sempre le sembianze di un telaio rigido.
La trasmissione finale ad albero è un altro di quegli aspetti per cui, negli Stati Uniti, la Fury è stata oggetto di critiche fin dal suo debutto, in quanto rende assai complicata (per i customizer) l'installazione di un cerchio posteriore diverso dall'originale. Al di là di questo, però, il suo funzionamento non presenta problemi di sorta, dimostrandosi fluida e silenziosa, oltre che esente da eventuali variazioni di assetto durante i cambi marcia come viceversa accade su molti altri modelli dotati dello stesso tipo di soluzione.
Il cambio a cinque marce è comunque caratterizzato da innesti rapidi e precisi, coadiuvati dall'azione particolarmente morbida della frizione. L'impianto frenante anteriore, composto da un singolo disco da 336 mm di diametro con pinza a due pistoncini, non è proprio il massimo e tende a bloccare la ruota davanti quando si insiste troppo sul comando al manubrio. Decisamente più in sintonia con le caratteristiche del mezzo è invece quello posteriore che, grazie a un disco da 296 con pinza monopistoncino, garantisce il mordente adeguato. Come optional, a fronte di un sovrapprezzo pari a 1000 dollari, è disponibile anche l'ABS, ma (stranamente) solo in abbinamento alla colorazione nera. Sulle altre tre (blu elettrico, rosso scuro e argento) non si può avere, mentre la versione grigio opaco con cerchi neri bordati di rosso, come quella protagonista del test, è in versione limitata e costa 500 dollari in più.
La Honda Fury è stata creata facendo leva sulla tipica cura dei prodotti Honda, che la fa sembrare un chopper costruito a mano da uno specialista, pur costando molto meno. Troppo spesso, in passato, la Casa di Tokio si è rivolta allo sviluppo di modelli completamente nuovi quasi con riluttanza, ma non è questo il caso. Grazie al contributo della filiale americana, infatti, la Fury può vantare un impatto estetico coinvolgente senza per questo rinunciare a un comportamento dinamico piacevole ed efficace. Del resto, un'azienda come la Honda, la cui dirigenza è composta da ingegneri e non da manager, non avrebbe mai accettato un qualsiasi tipo di compromesso in tal senso.
Con una spesa tutto sommato contenuta, dunque, è possibile sentirsi come Capitan America grazie a un prodotto che rispecchia in tutto e per tutto la concretezza e la qualità del marchio che porta impresso


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