giovedì 16 luglio 2009

Triumph Bonneville T 100







Lo stile cambia poco rispetto alla Bonneville Black, rimasta l’unica disponibile con il motore 800cc, se non per alcuni dettagli che rendono la Bonnie T100 più luccicante e dotata. Ma la vera differenza sta sotto il serbatoio con un bicilindrico più potente.

Di serie la T100 ha il serbatoio bicolore, piacevole reminiscenza degli anni d’oro della vecchia inglesina, quando scorrazzava sui lungomare à la page alla fine degli anni 60. Due sono le colorazioni disponibili, bianca con disegno rosso-arancio Tangerine e nera con disegno bianco Opal White. Tutti i filetti sono, of course, realizzati a mano da abili artigiani inglesi. Al bicolore si aggiunge un altro dettaglio d’antan, le meravigliose guancette nere su cui appoggiare le ginocchia e stringere il serbatoio.

Il lavoro di impreziosimento continua anche nelle parti basse, con tutti i carter del motore cromati e ben luccicanti. Cromato è anche il tappo del serbatoio: d’accordo lo stile, ma uno straccio di serratura con i tempi che corrono forse sarebbe meglio averla. Come per la sella, apribile da chiunque e quindi inutilizzabile per riporre anche soltanto i documenti. La dotazione di serie si arricchisce invece del contagiri, montato su una piastra in alluminio spazzolato accanto al tachimetro. La vera novità della Bonneville T100 non sta nei dettagli estetici, quanto nel cuore bicilindrico. La cilindrata aumenta fino a 865cc, incremento ottenuto allargando l’alesaggio fino a 90 mm e mantenendo uguale la corsa di 68 mm, fino a ottenere un motore ancora più superquadro. Il risultato dell’operazione sono 63/64 bei cavalli con 68 Nm di coppia massima a 6000 giri.Motore nuovo e dettagli preziosi costano cari: la Bonneville T100 costa 8.900 euro, 1.200 euro in più rispetto alla Bonneville 800cc Black.

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Duecento e non li dimostra. Pur superando la fatidica soglia di cinque chilogrammi, la Bonneville sembra sempre pesare la metà, pronta per la prova costume.
Effetto della sella bassa (775 millimetri da terra) e del profilo smilzo che trasmettono una sensazione di leggerezza. La posizione di guida, poi, è confortevole, né alta né bassa, con la giusta inclinazione del manubrio e delle manopole. La sella è un po’ duretta, ma comunque confortevole.La sensazione di leggerezza che la Bonneville trasmette da ferma e in manovra, continua anche in marcia. La Bonnie T100 è facile da guidare, adatta anche a motociclisti alle prime armi e alle motocicliste più smaliziate.
Facile non significa che la Bonneville sia una moto da passeggiata, adatta soltanto allo struscio in passerella o alla sostituzione elegante dello scooter cittadino.
La Bonnie piega fino alle pedane e si lascia guidare tra curve e controcurve con grande precisione e divertimento. I comandi rispondono bene anche quando il gioco si fa duro, con un cambio che con sbaglia un colpo, la frizione adatta anche a mani femminili e freni adeguati al peso della Bonneville.
Il nuovo motore, poi, contraddice le leggi dell’ingegneria. Da buon superquadro dovrebbe essere predisposto all’erogazione sportiva della potenza, infischiandosi di offrire una spinta corposa ai bassi regimi. Il motore della T100, invece, gira molto bene anche ai bassi regimi, offrendo tutta la spinta necessaria alla guida brillante senza sentire il bisogno di tirare le marce. Rispetto alla Bonneville 800, si viaggia forse alla stessa andatura, ma in souplesse, senza strizzare il motore e lavorare troppo con il cambio. La differenza di prezzo tra le due Bonneville è considerevole ma, forse, ne può valere la pena. Sono due moto altrettanto facili e piacevoli, poco impegnative per tutti anche se si ha fretta, ma la T100 ha un effetto placebo più marcato sui depressi.
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Tratto da Motorbox

Stesso nome, stessa linea, stesso marchio, ma un carattere differente: una era la sportiva più amata dell’epoca, l’altra è una turistica dei giorni nostri. Una è del 1969, l’altra di 32 anni più giovane. Ecco le considerazioni di un proprietario di Bonnie d’antan alla prese con la Bonneville del 2001.
Venerdí, 28 Settembre 2001
Marco Makaus


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Vai alla prova della Bonneville
La Triumph Bonneville nacque nel 1959 come versione spinta della Thunderbird, con il classico motore a due cilindri verticali e distribuzione ad aste e bilancieri, ora con due carburatori. Si trattava della versione di prestigio della Casa di Meriden, e rappresentava la punta di diamante della possente industria britannica, a quel tempo padrona del mercato motociclistico mondiale. La Bonneville è stata prodotta fino ai primi Anni 80. Il nome fu scelto per celebrare la conquista del record mondiale di velocità, avvenuta nel 1956 per mano di Johnny Allen, che a bordo di un siluro motorizzato con un motore bicilindrico Triumph aspirato raggiunse i 342 km/h, il doppio circa della velocità massima poi sviluppata dalle Bonneville più veloci.
Oggi, dopo quasi mezzo secolo, il record mondiale sfiora i 500 km/h, mentre le motociclette di serie più veloci superano i 300: la differenza tra serie e record quindi si sta riducendo. Basterebbe questa considerazione per dissuaderci dal confrontare le due Bonneville: mentre quella paradigmatica degli Anni 60 rappresentava il top delle motociclette sportive (poco prima dell’alba dell’era delle pluricilindriche Triumph Trident, MV Agusta, Honda 750 Four…) quella odierna è invece una motocicletta turistica senza pretese prestazionali. Se dovessi descriverla con una parola, direi "facile". Facile perché è una motocicletta leggera, maneggevole, con un buon angolo di sterzo, una buona tenuta e frenata, ed un motore elastico con una buona coppia e una potenza sufficiente ma non tale da mettere in imbarazzo i principianti.
La posizione di guida, almeno per un motociclista medio-alto, è perfetta, e consente di utilizzare la motocicletta per molti chilometri, a patto di non fare troppa autostrada. Infatti l’assenza di carenatura e la posizione di guida eretta non permettono di tenere medie elevate. E francamente l’autostrada, che non è quasi mai divertente in moto, non è certo la palestra ideale per la nuova Bonneville, che è decisamente a suo agio in città e nelle strade di campagna percorse senza fretta. Diciamo che con questa moto non si mette in pericolo la patente: infatti in autostrada si fatica a mantenere a lungo la velocità limite. Per le sue caratteristiche, la Bonneville è indicata a chi si avvicina solo ora al magico mondo della motocicletta e alle centaure, grazie a Dio sempre più numerose. Non mancheranno sicuramente i nostalgici, magari quelli che ritornano la motociclismo dopo anni di assenza.
Della sua progenitrice, a parte l’estetica, la nuova Triumph ha il piacevole battito del motore: la particolare conformazione a due cilindri in linea frontemarcia appaga i sensi del tatto e dell’udito. La moderna tecnica ha permesso di equilibrare il motore in modo da evitarne le eccessive vibrazioni, che sulle "vecchie" bicilindriche britanniche erano veramente esagerate, mentre le moderne regolamentazioni hanno costretto i tecnici a ridurre drasticamente la rumorosità. Infatti, per sentire la voce dello scarico ci vuole impegno, una buona dose di giri (stimati, in mancanza di contagiri) e una bella galleria… In condizioni normali è quasi sovrastato dalla rumorisità meccanica della distribuzione, un po’ troppo da macchina da cucire.
Naturalmente la differenza si fa abissale nel comportamento stradale. Non tanto nelle prestazioni assolute, dove i 50 cavalli, la proverbiale leggerezza ed i rapporti del cambio a quattro marce della "vecchia" le permettono di essere fors’anche più brillante, ma nella sicurezza con cui si affronta la strada. Le sospensioni, abbastanza morbide, permettono di mantenere la traiettoria anche su fondi sconnessi (dove la versione 1969 è in evidente difficoltà) e insieme alle moderne coperture, danno una grande stabilità.
Ma quello che veramente dà la sensazione precisa del passaggio di trent’anni di sviluppo tecnologico sono i freni. Nel senso che la nuova Bonneville ha i freni. Se vi capitasse l’occasione di provare una vecchia Bonnie subito dopo una nuova Bonneville, fate molta attenzione, perché avrete l’impressione di salire su una moto senza freni. Ciò non toglie che, soprattutto nelle sue versioni ’68 e ’69, caratterizzate dal migliore equilibrio tra estetica e tecnica, la Bonneville originale rimanga una delle più belle motociclette mai costruite, e - utilizzata con una certa esperienza e cautela - ancora molto divertenti. Sul misto, rigorosamente con buona visibilità e buon fondo, una Bonnie ben guidata può ancora dire la sua.
Da un punto di vista di marketing, trovo non convincente l’aver usato lo stesso nome. È pur vero che questo avviene normalmente nei campi automobilistico e motociclistico, ma di solito si tratta di prodotti molto simili (Jaguar S-Type) e l’utilizzo del nome il più delle volte non è stato interrotto malgrado l’evoluzione del prodotto (Harley-Davidson). In questo caso è stato ripescato un nome glorioso ma abbandonato da almeno quindici anni, per un prodotto che si posiziona sul mercato in un modo quasi opposto: una supersport è diventata una paciosa turistica.
Per fortuna solo pochi pignoli coi capelli grigi faranno questi ragionamenti: per gli altri, la Bonneville offre una opportunità di avvicinarsi al motociclismo in modo meno impegnativo rispetto alle sportive, e decisamente più elegante rispetto alle custom e finte tali. Inoltre, e non è poco, la Bonneville permette di godere anche di un altro aspetto del motociclismo che si va perdendo: quello che porta a modificare ed adattare la moto ai propri gusti, creando in effetti un modello unico. La semplicità del prodotto, e la creatività dei fabbricanti di accessori e dell’importatore italiano, permette con poche modifiche di ritagliarsi la moto su misura: un manubrio più dritto, una verniciatura particolare (solo serbatoio e fianchetti, non c’è una complicata e costosa carenatura), magari delle pedane un po’ arretrate: la strada della ‘café racer’ oggi torna ad essere praticabile.

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