Visualizzazione post con etichetta Triumph Rocket 3. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Triumph Rocket 3. Mostra tutti i post

mercoledì 22 luglio 2009

Confonto Harley Davidson Road King vs Triumph Rocket III

GRANDI IN TUTTO
Cromature che scintillano al sole, selle generose, dimensioni imponenti ma soprattutto tanti, tanti centimetri cubi: addirittura 2.294 per la Triumph Rocket III, che in questa versione Touring affianca la “base” rinunciando a 36 CV e al gommone da 240 per puntare sulla versatilità. Non a caso ha di serie il parabrezza e le borse laterali, oltre ad annoverare una gamma accessori ricchissima. È con queste credenziali che la Triumph sfida il mito Harley-Davidson e i suoi 105 anni, come quelli impressi sul serbatoio della Road King Classic. Infatti quella protagonista della nostra prova è l’edizione limitata per il 105° anno di vita del Marchio, e si distingue per un’esclusiva colorazione bicolore, per una piastra numerata sulla plancia e per fregi speciali su serbatoio, scatola filtro e coperchio centralina. Tutta rinnovata, invece, la maxi di Hinckley, che ha in comune con la Rocket III solo il fanale posteriore, gli specchietti e, soprattutto, il motore. Il 3 cilindri longitudinale è il biglietto da visita più eloquente di questa maxi-cruiser: il sacrificio di 31 CV “veri” ha generato una coppia ancora superiore al passato. Impressionante è l’effetto che si prova quando si apre il gas: la spinta è sempre pronta e vigorosa, non importano la velocità o il rapporto inserito. Classico e moderno allo stesso tempo è invece il bicilindrico Twin Cam 96 da 1.584 cc; guadagna una dozzina di CV rispetto al vecchio 88 e dispone anche di più sostanza ai bassi e medi regimi.


COMFORT
Come su tutte le Harley-Davidson delle famiglie Touring e Dyna, il bicilindrico a V di 45° è privo del contralbero anti-vibrazioni ed è montato su supporti elastici: coreografico lo spettacolo dei 2 cilindri che al minimo sembrano voler saltare fuori dal telaio da un momento all’altro, ma appena in marcia, le “good vibrations” scompaiono completamente, lasciando spazio all’inconfondibile tonalità di scarico e al comfort più assoluto. Da subito la prima preoccupazione è la difficoltà che incontreremo nelle manovre. In effetti il peso non è propriamente piuma e, se i quasi 340 kg della Road King sembrano tanti, spostare i 380 kg (!) della Triumph, in certe situazioni, può diventare veramente problematico. L’americana, oltre ad essere più snella, ha dalla sua una sella più bassa e profilata che permette di appoggiare con più sicurezza i piedi a terra, rendendo un po’ più agevoli queste operazioni. Accomodarsi sulla Road King Classic è un piacere per gli occhi (la plancia è completa ed elegante) e per il fondoschiena (la sella è morbida e accogliente). In pieno stile cruiser la posizione di guida e la collocazione dei comandi a pedale; se alcuni dettagli sono ben fatti come i due fari anteriori supplementari, alcune finiture non sono all’altezza del blasone (e del prezzo). Gradevole il primo impatto in sella alla Rocket: la sella è ampia e sontuosa al pari di quella della rivale, la posizione di guida è rilassata e naturale, molto caratterizzata dal grosso manubrio a corna di bue che, una volta impugnato, dona una sensazione di completo controllo del mezzo. Davvero utile il computer di bordo, che indica anche l’autonomia residua, ma anche se fidarsi è bene, guardare nel serbatoio è meglio: le indicazioni non si sono rivelate affatto precise, al punto che nel corso della nostra prova siamo rimasti senza benzina (con 70 km di autonomia indicata, siamo rimasti a piedi); provate a spingerla voi questa bestiona…




IN MARCIA
Nonostante la capacità dei serbatoi sostanzialmente uguale (circa 20 liri), la H-D si giova di consumi più contenuti e percorre, con un pieno di carburante, circa 100 km in più, fattore non di poco conto per moto con questa vocazione. Come da previsioni, la città fa soffrire: spesso costretti in coda dalle grosse dimensioni, sgusciare tra le macchine risulta difficile soprattutto per la Triumph, mentre l’H-D, grazie alle dimensioni più compatte e al maggior raggio di sterzo, è più agile; attenzione però ai collettori di scarico perché sono molto vicini al polpaccio del pilota e basta un disattenzione per trovarsi un rovente ricordo sulla pelle. Tutta la fatica di manovrare in città viene però ripagata dagli sguardi dei passanti: ad ogni semaforo sarete al centro dell’attenzione. L’autostrada è il luogo dove apprezziamo le doti di tourer: a 130 km/h entrambe offrono un’ottima protezione grazie ai grandi parabrezza (a sgancio rapido). Completamente al riparo da fastidiose turbolenze, niente rovina il piacere di osservare il paesaggio, tranne nell’eventualità che siate alti tra 1,75 e 1,80 m: in quel caso la sommità di entrambi i parabrezza viene a trovarsi proprio davanti agli occhi, e crea qualche fastidio nella visuale e nello scegliere la corretta posizione in sella. I curvoni non fanno paura all’inglesona, che segue le traiettorie scelte senza scomporsi, pregio che manca alla Road King che deve essere seguita con attenzione per ogni centimetro di asfalto, pena l’innescamento di ondeggiamenti. Il rovescio della medaglia è che, mentre l’Harley assorbe perfettamente le imprecisioni dell’asfalto, il reparto sospensioni della Triumph è decisamente più sostenuto, e se questo le assicura buone doti dinamiche, ogni buca viene trasmessa direttamente a pilota e passeggero. Non ci sorprende che il cambio dell’H-D sia rumoroso e lento, ma ci è piaciuta la sesta marcia overdrive, che consente di viaggiare in souplesse con un filo di gas in autostrada, magari approfittando del Cruise Control (di serie), con cui si può impostare la velocità desiderata. Unica nota dolente la frizione, un po’ dura e non molto modulabile. Impeccabile invece la trasmissione della Triumph: cambio preciso e silenzioso, frizione modulabile e soprattutto un cardano che rasenta la perfezione.




CARATTERI DIVERSI
Più rigida di telaio e con sospensioni serie, la Rocket non va in crisi quando si forza il ritmo e anzi, assistita da una frenata potente e gestibile, invita ad andare allegri, e la dimensione più umana del pneumatico posteriore (dal 240 della “standard” si passa al 180), consente una buona manovrabilità anche sul misto stretto. Di altra indole è l’Harley che invita ad inserire la terza, a dimenticarsi il cambio e a prendere le cose con calma; la Road King va condotta con rotondità, non solo perché le pedane strisciano presto sull’asfalto, ma anche perché si capisce subito che è il modo giusto di guidarla. Complici le sospensioni soft, i cambi di direzione vanno eseguiti con dolcezza e i freni, la cui leva è troppo grossa e distante dalle manopole (riscaldate), sotto stress si rivelano un po’ spugnosi e vanno strizzati a dovere. Due caratteri ben diversi ma stessa missione: i viaggi in coppia, dove il comfort del passeggero e la sfruttabilità delle borse diventano essenziali. Belle da vedere e discretamente capienti (14 litri), le valigie della Rocket hanno la serratura e una forma regolare e ben sfruttabile. Di serie sono presenti le borse interne che permettono di asportare i bagagli senza essere costretti a sganciarle, azione che comunque impegna pochi attimi. Non soddisfano appieno invece le borse dell’H-D, sia perché prive di serrature, sia per l’aspetto un po’ povero. Le due maxi si prendono cura del passeggero con attenzione. Ben imbottita con uno strato di gel speciale, la sella per il passeggero della Rocket è in linea con quanto promesso; le pedane sono ben posizionate, peccato che si avvertano delle vibrazioni. Esente da questo difetto, la Road King ha però la parte posteriore della sella che tende a far scivolare il passeggero sul parafango, cosa che suggerisce il montaggio di uno schienalino. Per acquistare questi gioielli, infine, sono necessari 18.990 euro per l’inglese e 21.800 per l’americana. Per entrambe le possibilità di personalizzazione sono davvero infinite, quindi, volendo, si può spendere molto di più.





giovedì 16 luglio 2009

Confronto: Triumph RocKet III contro Harley - Davidson V-Road

Sì, è vero: potreste andare a prendere le due schede tecniche e sbatterci in faccia che constatereste subito come i cinquanta chili nel dato sul peso a secco, così come i trenta cavalli e tanti altri bei numeri che le separano, costituiscano differenze talmente rilevanti da rendere quasi improponibile una comparativa tra queste due moto. Eh sì, perché rispetto al gigante Rocket III, la V-Rod sembra un fuscello (incredibile a dirsi, per una Harley-Davidson). Eppure se rinunciaste al confronto avreste torto: nonostante che la Triumph abbia una cilindrata doppia di quella dell’americana, quest’ultima è la sua più vera concorrente. Più di alcune imponenti giapponesi (ad esempio Kawasaki VN2000 e Honda Valkyrie 1800), la Harlay Davidson V-Rod, per il fatto stesso di essere il prodotto Harley del rinnovamento (tanti cavalli, raffreddamento a liquido, etc.), è la rivale con cui la Triumph Rocket III - che a sua volta è la prima custom Triumph estrema - dovrà fare i conti. E poi -inutile girarci intorno- un possibile acquirente Harley al massimo si butta su Triumph (e viceversa); è molto più raro che prenda in considerazione una giapponese: queste sono moto da abbinare “assolutamente” a giacca e casco di una tal marca, da parcheggiare davanti al bar giusto, si tratta di status symbol che in garage trovano posto accanto alla BMW serie 5 o all’Audi A6. Anche perché, come si può immaginare, i prezzi delle due chopperone sono muri impossibili da scalare per la grande maggioranza dei motociclisti: 17.990 euro per la Rocket, 19.760 per la V-Rod.



Anno Domini 2003: al Salone di Milano, Triumph si presenta con l’incarnazione metallica del gigante Golia. È la Rocket III. "Tre" è naturalmente il numero -tradizionale, ormai- dei cilindri, ma le analogie meccaniche col resto della gamma di Hinckley finiscono qui. Non solo perché i cilindri in linea sono longitudinali e non fronte marcia, ma soprattutto perché la cubatura in ballo è elevatissima: 2300 cc, che fanno della Rocket la motocicletta di serie col motore più grosso al mondo. E non è un numero fine a se stesso: in accelerazione e ripresa la mastodontica Triumph è in grado di bruciare anche le più veloci tra le 1000 giapponesi ipersportive; tanto che il limitatore elettronico della coppia in prima marcia non basta ad evitare al pilota il rischio di strappi a braccia e spalle quando spalanca il gas.
La versione in prova, quella che la Numerotre tiene a "parco stampa", è la “Tribal”, che si distingue dalla standard essenzialmente per numerosi componenti da catalogo ufficiale Triumph: il colore arancio metallizzato (col fianco sinistro del serbatoio e il radiatore cromati), il fly screen e le grafiche tribali. I terminali di scarico sono i più aperti possibile. Insomma, la Rocket è già estrema di suo, e in questa versione diventa una bomba. Impossibile non girarsi quando si sente il suo ruggito, irresistibili le sue cromature sfacciate, evocativa la gommona posteriore da 240 (in aftermarket si trovano già quelle da 280 e 300…) montata su un cerchio da 16 pollici.
Posto che l’attrattiva della Rocket consiste nel portarsi a casa la più esplosiva e ormonale tra le moto di serie, il vero plus che la Rocket offre sta nel fatto che è anche bella da guidare: non che sia un fuscello, ci mancherebbe, ma la distribuzione dei pesi è favorevole, e la moto, finché si tratta di andare a passeggio, può essere veramente portata da chiunque: si può partire in seconda, mettere la terza a cinquanta all’ora e dimenticarsi del cambio. Colpisce la qualità complessiva della ciclistica: i tre quintali e mezzo della tricilindrica si lasciano frenare adeguatamente, e anche le sospensioni (in particolare la forcella) e il telaio rispondono bene se si cerca di forzare. Tuttavia, malgrado i valori elevati di potenza e coppia, cercare un ritmo sostenuto sul misto è una mezza impresa: sterzare costa fatica, e la Rocket esige una guida rotonda, consentendo anche angoli di piega discreti.



La nostra V-Rod è la “B”, che si distingue dalla “A” per pochi particolari: per chi non è un intenditore e vede vicine le due versioni, scatta la caccia alla differenza in stile Settimana Enigmistica. Non ci arrivate? Ok, ve le sveliamo noi: il manubrio è il low-rise, cioè quello non a corna di bue, telaio e motore sono spazzolati di nero, anziché color alluminio, le frecce sono in plastica e non in materiali più pregiati, il faro anteriore è tondo e non sfuggente. Il resto è identico: il motore da 1.130 cc e 115 cavalli raffreddato a liquido, serbatoio sotto la sella, carrozzeria e cerchi lenticolari in alluminio, forcella dall’inclinazione apparentemente assurda (39°!), e tutto il resto.



Che sia A o B, comunque, la V-Rod è una splendida scultura di metallo il cui motore vibra il tanto che basta a non lasciare troppo spaesati gli harleysti: ma, se ne faccia una ragione chi pensa alle moto americane come a dei buoi inesorabili ma lenti, si tratta di una moto dalle grandi prestazioni, in termini assoluti. E’ una custom per impostazione di guida, ma della custom classica ha perso in gran parte i connotati: la forcella stessa, esageratamente inclinata, è tuttavia efficace nella risposta, abbastanza simile a un’unità sportiva. Per il resto la V-Rod è più una naked, dal motore pieno in basso ma progressivo e capace di salire anche molto di giri. L’americana frena alla grande e sta in strada: strano a dirsi, ma dice la sua anche sul misto stretto. Ci si prende gusto in fretta, e dopo un paio di tornanti si cominciano a grattare le pedane (prima) e gli scarichi (dopo), con tanto di folcloristiche scintille. Dalle foto forse non mi si vede, ma sulla Rocket III c’ero. E stavo pure guidando!Contrariamente a quanto si possa pensare, quando una mini-size come la sottoscritta sale in sella al mastodonte Triumph, il sentimento che predomina è l’orgoglio. Così, con un ego che riempiva gli spazi vuoti, ho scalato una marcia col consueto colpo di gas. Un rombo di tuono mi ha congelato i muscoli, ed ho scoperto che la Rocket, con questi scarichi aperti, crea un vero muro sonoro, e in rilascio scoppietta che è una meraviglia. Altro che Harley…. Già, perché la V-Rod è un’educanda gentile a confronto dell’aggressiva presenza dell’inglesona: motore più fluido, emissione di decibel e peso abbastanza contenuti. Le manovre sono complicate con entrambe: con l’Harley bisogna calcolare l’ampio raggio di sterzo e l’ingombro della forcella, per la Rocket bisogna dotarsi di muscoloso chauffeur che giri il manubrio al posto vostro. In realtà una volta in marcia la bestiona a tre cilindri si alleggerisce di un bel 200 kg, a fronte dei suoi 320. Avete mai guidato la “squalo” della Citroen? Ecco, la sensazione è simile: in curva va gestita, perché tende ad allargare la traiettoria. Man mano che si rallenta lo sterzo s’irrigidisce e conviene fermarsi in una posizione corretta per la partenza, così da non spostarla più. Nonostante sia decisamente abbondante nelle dimensioni, ci s’incastra a meraviglia: gli spazi sono molto equilibrati, pregio che manca alla V-Rod: sull’americana le pedane sono là in fondo, e io mi devo stendere per arrivarci. Nonostante questo inconveniente, però, salendo sulla lunga Harley sembra che i suoi 270 kg siano davvero pochi. E’ fluida nell’erogazione quanto la Rocket è brusca ed aggressiva. Così diverse ma con un comun denominatore: sono due realtà uniche, che non si possono catalogare. Questo è il motivo per cui vale la pena possederle e sfoggiarle, non il fatto che siano comode o potenti, non l’efficacia della frenata o la stabilità in curva, ma il loro essere estreme e per pochi. Belle, proprio belle. Si fanno guardare volentieri non solo da lontano: i dettagli sono curati, cromature e verniciature piacevolmente ricche, i materiali mostrano poche economie. Qualcuno, dando un’occhiata al listino, potrebbe ritenere scontato questo livello di qualità, ma mi pare che sia giusto sottolinearla perché non è sempre detto che ciò che costa molto sia anche realizzato al meglio, e gli esempi non mancano... Dal punto di vista estetico la mia preferenza va alla V-Rod: la trovo più slanciata, più sobria, più elegante, anche se dal punto di vista delle finiture certi dettagli potevano essere più prestigiosi (ad esempio, il faro anteriore), mentre della Triumph apprezzo l’imponenza e l’equilibrio delle masse, ma la trovo un po’ barocca in certi dettagli, e in generale più vistosa. Le parti si invertono quando si accende il motore e si parte: l’Harley va guidata come un chopper, con questa forcella lunghissima e inclinata, e anche se il motore è di una gestibilità esemplare e la stabilità sul dritto non si discute, mi trovo a disagio quando c’è da affrontare un po’ di curve in successione, complice anche una posizione di guida poco naturale. La Rocket III, invece, da fermo dà l’impressione di essere più pesante, si sente che è grande e grossa e capisci subito che se non fai attenzione con l’acceleratore e scateni quella coppia da rimorchiatore te la metti per cappello in un attimo, ma l’ho trovata più comoda, più bilanciata, più manovrabile, più “dosabile”. In una parola, più utilizzabile.






Dati tecnici Harley e Triumph
Harley Davidson V-Rod
Motore: a 4 tempi, 2 cilindri a V di 60° logitudinale, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 100x72 mm, cilindrata 1.130 cc, rapporto di compressione 11,3:1, distribuzione bialbero a camme in testa con comando a catena laterale, 4 valvole per cilindro, lubrificazione forzata a carter umido con doppia pompa trocoidale. Alimentazione: iniezione elettronica ESPFI con corpi sfarfallati da 53 mm, capacità serbatoio 14 litri compresa la riserva. Accensione: elettronica digitale, 1 candela per cilindro. Avviamento: elettrico. Trasmissione: primaria a ingranaggi a denti diritti, frizione multidisco in bagno d’olio con comando idraulico, cambio a 5 marce, finale a cinghia in fibre aramidiche rinforzate. Ciclistica: telaio a doppia culla continua scomponibile in tubi tondi d’acciaio di grosso diametro, inclinazione asse di sterzo 34° (forcella 38°), avancorsa 99 mm. Sospensione anteriore: forcella teleidraulica utraregolabile, steli da 49 mm, escursione 100 mm. Sospensione posteriore: forcellone in alluminio e ammortizzatori idraulici regolabili nel precarico molla, escursione ammortizzatori 60 mm. Ruote: anteriore lenticolare in lega leggera, pneumatico 120/70-19”, posteriore lenticolare in lega leggera, pneumatico 180/55-18”. Freni: anteriore a doppio disco da 292 mm, pinze a 4 pistoncini, posteriore a disco da 292 mm, pinza a 4 pistoncini, circuito idraulico in tubi di teflon con treccia metallica. Dimensioni e peso: interasse 1713 mm, lunghezza 2375 mm, larghezza 838mm, altezza sella 660 mm. Peso a secco 270,4 kg. Prestazioni: potenza 115 CV (84,64 kw) a 8500 giri., coppia 88 Nm a 6300 giri. Omologazione Euro-1: si’
Triumph Rocket III
Motore: quattro tempi, tre cilindri in linea longitudinale raffreddati a liquido. Distribuzione bialbero in testa a 12 valvole comandata a catena frontale. Alesaggio e corsa: 101.6 x 94.3 mm, cilindrata 2.203 cc, rapporto di compressione: 8.7:1, alimentazione: iniezione multipoint elettronica sequenziale, doppi accensione elettronica digitale.Trasmissione: frizione multidisco in bagno d’olio, cambio 5 marce, trasmissione finale a cardano.Ciclistica: telaio tubolare a doppia culla in acciaio, forcellone in acciaio a due bracci, cerchi a 5 razze in acciaio, ant 17’x3.5’, post 16’x7.5’, pneumatici: ant 150x80 R 17, post 240x50 R 16. Sospensioni: ant forcella idraulica a steli rovesciati da 43 mm, post: due ammortizzatori, regolabili nel precarico. Freni: anteriore a doppio disco flottante da 320 mm con pinze a quattro pistoncini, posteriore a disco singolo da 316 mm, pinza a doppio pistoncino. Dimensioni e peso: lunghezza: 2.500 mm, larghezza al manubrio: 970 mm, altezza max: 1.165, altezza sella: 740 mm, interasse: 1.695 mm, inclinazione cannotto sterzo: 32°, peso a secco: 320 kg, capacità serbatoio: 25 lt.Prestazioni: potenza max: 140 CV (103 kW) a 5.750 giri, coppia max: 20.39 kgm (200 Nm) a 2.500 giri.

Triumph Rocket III, 2300 cc.

Prova su strada Dal sito: Trimph che passione.


Non si può battere un record senza che qualcuno lo abbia prima stabilito. Harley-Davidson V-Rod (1.130 cc), Yamaha V-Max (1.200 cc), Yamaha Warrior (1.700 cc), Honda VTX (1.800 cc), Kawasaki VN (2.000 cc). "E allora esageriamo" devono aver detto i tecnici e gli uomini marketing della Triumph, ed ecco nascere la Triumph Rocket III, 2.300 cc distribuiti su tre cilindri in linea disposti longitudinalmente, per non correre il rischio di scimmiottare le moto di Milwaukee come fanno le Case giapponesi, e per essere sicuri che, almeno a breve, qualcun altro non esageri ancor di più. Linea personale, dimensioni e peso sconvolgenti, doti dinamiche mai riscontrate su nessun'altra moto. Con la Triumph Rocket III, scendere sotto i 12 secondi nell'accelerazione sui 400 metri e toccare i 220 km/h effettivi è roba da "uomini duri". Provare per credere.
Il bello è che la forza sprigionata si avverte anche stando fermi al semaforo, col motore in folle.
Ad ogni "manata" sulla manopola del gas si scatena un vortice di spostamenti d'aria, vampate di calore ed effetti giroscopici vari che incutono soggezione. Il pilota è come un fuscello in balia degli eventi e allo scattare del verde la situazione, se possibile… peggiora: alla piena apertura del gas gli enormi pistoni sprigionano un tale vigore che la gomma posteriore da 240 mm(!) disegna strisce nere lunghe diversi metri. Basti pensare che si raggiungono i 100 km/h in meno di 50 metri, con l'anteriore che si solleva appena da terra nel passaggio dalla prima alla seconda marcia. In questi frangenti, il cambio mostra una buona precisione. La posizione di guida è abbastanza passiva: i piedi molto avanzati e le gambe divaricate dal larghissimo serbatoio da 25 litri non trovano saldo appoggio alla moto; così il pilota è portato a stringere forte il manubrio per non sentirsi sfilare la sella da sotto il sedere… Numeri a parte, insomma, le emozioni di un'accelerazione con la Rocket III valgono anche il sacrificio economico richiesto al momento dell'acquisto (quasi 18.000 euro). Al di là delle prestazioni pure, la Triumph Rocket III si lascia guidare bene. Il triangolo sella-pedane-manubrio non è esasperato come su alcune concorrenti e l'equilibrio della ciclistica consente di gestire in sicurezza questo colosso a due ruote. La sella è sufficientemente scavata da impedire indesiderati spostamenti longitudinali sia in frenata sia in accelerazione. Tra l'altro, è ben imbottita (più di quella riservata al passeggero) e non trasmette alcuna vibrazione. Le sole che si avvertono sono quelle alle pedane, soprattutto nella fase di rilascio dell'acceleratore ai regimi medio-alti, ma rientrano entro limiti ampiamente tollerabili. Ciò concorre, insieme alla fluidità di erogazione, a mantenere discreto il comfort di marcia, a patto che non si percorrano strade sconnesse. Il doppio ammortizzatore posteriore, infatti, ha una scarsa predisposizione a filtrare gli avvallamenti, difetto peraltro comune alla maggior parte delle custom. In compenso, la scorrevolezza della forcella e la sua buona escursione assecondano quasi ogni tipo di guida. Quando il manto stradale è imperfetto, lo copiano senza trasmetterne le asperità; quando il pilota si "appende" ai freni nei panic stop, non "tamponano", mostrando un buon sostegno. Piuttosto, la Triumph Rocket III evidenzia la tendenza al bloccaggio del pneumatico anteriore tipica di moto così pesanti e con la forcella così "aperta". Fortunatamente, l'impianto frenante della moto inglese, come da tradizione Triumph, è molto valido sia all'anteriore sia al posteriore, mostrandosi sufficientemente modulabile oltre che potente. Che le curve non siano il piatto forte di casa Rocket, lo intuisce anche un "non addetto ai lavori" alla prima occhiata. Ma una volta in movimento, basta una presa di confidenza, magari un po' prolungata, per scoprire una ciclistica sufficientemente precisa sul veloce e guidabile anche nello stretto. Se non fosse per la scarsa luce a terra, la Rocket III asseconderebbe anche un guida frizzante e disinvolta, purché non ci si lasci prendere troppo la mano: 350 kg per 140 CV sono, di per sé, già molto impegnativi. E il "gommone" posteriore da 240 mm non consente correzioni troppo repentine nelle situazioni di emergenza. Di certo, resta il fatto che è il motore il punto forte di questo progetto. Non vibra, ha una fluidità straordinaria fin dai bassi regimi, in alto allunga quanto basta e sprigiona una forza ciclopica a 2.000 come a 6.000 giri. Lo scarso freno motore dà la sensazione di sedere su una locomotiva coi freni in avarìa lanciata a tutta velocità, ma fortunatamente si tratta solo di una impressione… Il 3 cilindri di 2.294 cc è unico nel suo genere, ha pistoni della stessa misura di un'auto (alesaggio x corsa 101,6 x 94,3 mm). Viene dichiarata una coppia massima di 20 kgm a 2.500 giri con il 90% di questa forza disponibile fra 2.000 e 6.000 giri, donando grande fluidità alla guida e un uso davvero ridotto del cambio a 5 marce.L'albero motore forgiato pesa 17 Kg, è montato su 4 bronzine e ha un imbiellaggio a 120 gradi. L'ordine di accensione alle sei candele è 1-2-3 partendo dal cilindro anteriore. L'albero di bilanciamento, l'albero primario e il secondario sono controrotanti, e contrastano il movimento dell'albero motore che ha una minima coppia di rovesciamento, evitando così lo sbilanciamento della moto in accelerazione. L'iniezione elettronica si avvale di una grande doppia farfalla da 52 mm e una doppia accensione per avere il massimo dell'efficienza della combustione all'interno dei cilindri. Questa messa a punto permette alla centralina di avere il controllo sul flusso della miscela e sulla mappa di accensione tenendo conto della marcia selezionata, dal carico motore e della velocità del veicolo. In questo modo si ottiene una curva di coppia specifica per ogni rapporto inserito. In prima ed in seconda la coppia è "addomesticata" elettronicamente del 7%. Un momento di transizione sulla terza e poi tutta la coppia viene rilasciata in quarta ed in quinta. La scatola filtro della Rocket è posizionata sotto la sella, l'aria fresca è aspirata da un sistema di condotti stampati sotto la base di questa e viene poi inviata all'air-box principale. Per ottenere una temperatura costante sui tre cilindri in svariate condizioni di utilizzo, il sistema di raffreddamento prevede passaggi interni di diversa misura. L'impianto di scarico, posto sul lato destro del motore, è molto vicino al pilota ed ha la parete dei collettori di scarico realizzata con due coperchi separati per dissipare il calore e fungere da isolatore termico. Per rispondere ai futuri standard di emissione della normativa Euro 3 è stato necessario installare due convertitori catalitici nel collettore di scarico posizionato di fronte al pneumatico posteriore. Il vantaggio di questa soluzione è che i catalizzatori si scaldano rapidamente riducendo in fretta le emissioni inquinanti. Il telaio della Rocket III è basato su una struttura tubolare in acciaio a doppia trave che ospita il motore, parte portante dell'intera struttura poiché contribuisce alla rigidità torsionale del mezzo. Grande novità è la trasmissione finale a cardano: la scatola della coppia conica è stata sviluppata in collaborazione con la ditta italiana Graziano che produce anche cambi e trasmissioni per molte case automobilistiche sportive, come Aston Martin, Ferrari e Lamborghini. Il pneumatico posteriore da 240/50-17 è una novità assoluta per una moto di serie. E' prodotto da Metzeler che ha studiato a lungo mescole e profilo per garantire la necessaria trazione e la giusta maneggevolezza considerando peso e potenza della Rocket 3. I cerchi in lega sono a 5 razze, quello davanti con canale da 3,50" (150/80-17 la misura del pneumatico) e quello posteriore con canale da 7.50"! I freni anteriori hanno specifiche da supersportiva, infatti vengono utilizzate due pinze a quattro pistoncini accoppiate a dischi da 320 mm flottanti. Al posteriore, invece, troviamo un impianto Brembo con disco singolo a due pistoncini da 316mm di diametro. La forcella a steli rovesciati da 43 mm e i doppi ammortizzatori sono stati progettati specificatamente dalla giapponese Kayaba. Migliorabili alcune finiture. Tante cromature, come si addice a una custom-cruiser, ma anche viti in ferro e alcuni bordi taglienti al tatto.La strumentazione con due elementi circolari richiama il doppio gruppo ottico anteriore. E' completa e dalla grafica leggibile, ma le spie sono un po' "povere" e quanto a informazioni fornite c'è senz'altro di meglio. Una moto simile è ovviamente un'ottima base per la personalizzazione. Triumph prevede accessori originali per realizzare due tipi di allestimento diversi. Con parabrezza, schienalino e borse è ideale per i viaggi. Per accelerazioni da "ruota fumante" c'è la cupolino aerodinamico e verniciatura "tribal". A ognuno la sua.
SCHEDA TECNICA
Triumph Rocket IIIMotore: a 4 tempi, tricilindrico in linea,alesaggio per corsa 101,6x94,3 mm,cilindrata 2.294 cc, rapporto di compressione 8,7:1, distribuzione a doppio albero a camme in testa con comando a catena, 4 valvole per cilindro, lubrificazione a carter secco (capacità coppa 5,4 litri), raffreddamento a liquido, potenza max 142 CV (104,41 kW) a 5.750 giri,coppia max 20,39 kgm (200 Nm) a 2.500 giri. Alimentazione: a iniezione elettronica sequenziale Multipoint,diametro dei corpi farfallati 52 mm;capacità serbatoio carburante 25 litri compresa la riserva. Accensione: elettronica digitale; 2 candele per cilindro, candele NGK DPR8EA9. Avviamento: elettrico. Impianto elettrico: batteria 12V-18Ah. Trasmissione: primaria a ingranaggi, rapporto 91/88 (1,034);finale a cardano, rapporto 48/46 (1,043). Cambio: a 5 marce, valore rapporti: 2,929 (41/14) in prima, 1,947 (37/19) in seconda, 1,435 (33/23) in terza, 1,160 (29/25) in quarta, 0,964 (27/28) in quinta. Frizione: multidisco a bagno d'olio. Telaio: tubolare in acciaio; inclinazione cannotto di sterzo 32°, avancorsa 152 mm. Sospensioni:anteriore forcella con steli rovesciati da 43 mm, escursione ruota 120 mm;posteriore forcellone a doppio braccio con ammortizzatori idraulici Kayaba e molle regolabili nel precarico, escursione ruota 105 mm. Ruote: cerchi in lega, anteriore 3,50x17", posteriore 7,50x16"; pneumatici, anteriore 150/80-17, posteriore 240/50-16. Freni:anteriore a doppio disco da 320 mmpinze a quattro pistoncini; posteriore a disco da 316 mm pinza a due pistoncino. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.480, larghezza 880, altezza 1.150, interasse 1.690,altezza sella 740, peso a vuoto 320 kg.Prestazioni: velocità max n.d.Tagliando: programmato ogni 16.000 km. Lubrificazione: olio multigrado Mobil1 Racing 4T SAE 15W40.Distribuzione: gioco valvole a freddo:aspirazione 0,10-0,15 mm; scarico 0,15-,020 mm. Pneumatici: pressione di gonfiaggio, ant 2,4 bar, post 3,0 bar.Gamma colori: rosso, nero. Garanzia: 2 anni chilometraggio illimitato. Prezzo: 17.980 euro chiavi in mano. Optional e prezzi (euro Iva inclusa): Kit carrozzeria Custom Paint "Tribale" da 1.662,62; marmitte aperte 529,01; cupolino verniciato 196,48; kit fari antinebbia 302,28; kit di fissaggio cupolino/luci antinebbia 60,44; sella biposto touring 302,28; serbatoio olio cromato 377,86; fiancatine laterali cromate 181,36; presa ausiliaria corrente 30,21; borsa serbatoio in pelle 75,56;allarme immobilizer 408,09.
TRIUMPH ROCKET III dati rilevati
Velocità massima 219.8 km/h
Peso senza carburante 350.8 kg
consumo urbano 10.5 km/l
consumo extraurbano 11.5 km/l
consumo a 130 km/h 12 km/l
accelerazione 0-400 metri da fermo 11.517 sec
ripresa da 50 km/h in in quinta marcia 12.276 sec
potenza max alla ruota 124.90 CV a 6.000 giri coppia max alla ruota 17.87 kgm a 2.350 giri



Dal sito Triumph
Le parole non potranno mai rendere giustizia alla Rocket III. È un capolavoro di design e progettazione che per essere apprezzato deve essere guidato. L'imponente propulsore a tre cilindri, da 2300cc, produce una coppia vigorosa ad ogni regime di rotazione, consente una eccezionale ripresa in ogni marcia e sprigiona una potenza esuberante e perfettamente controllabile in tutte le situazioni. È la moto di serie di maggiore cilindrata del mondo, ma la vera sorpresa è il poterla controllare come una moto grande la metà, grazie all’efficacia della ciclistica. Prestazioni, maneggevolezza e praticità sono da sempre le caratteristiche distintive di tutte le nostre moto e la leggendaria Rocket III ne è l’ulteriore prova. Una moto per motociclisti fuori dal comune, con uno stile unico e inimitabile. Una streetfighter sotto steroidi. L’impianto frenante è, ovviamente, all’altezza della sua indole: doppi dischi anteriori da 320mm con pinze flottanti Nissin a 4 pistoncini, disco posteriore da 316mm con pinza Brembo, tubi in treccia. La forcella a steli rovesciati, l’imponente pneumatico posteriore da 240mm, i tre collettori e i due silenziatori cromati ne rafforzano l'aspetto muscoloso e confermano che questa incredibile moto offre prestazioni degne del suo aspetto.

Dal sito: Nextmoto
All’appello però è mancato un solo marchio: Triumph. Questa importante casa inglese ha infatti realizzato ben 3 modelli nel 2009.Oggi vi presenteremo la Rocket III Touring, che per stessa ammissione dell’azienda è la prima cruiser touristic immessa sul mercato.Questa moto, che deriva dalla Rocket III, presenta per forza di cose molte “omologie” con quest’ultima, ma al contempo anche importanti innovazioni che la rendono una vera e propria novità. Per quanto riguarda il motore, le due moto hanno molto in comune. La Touring utilizza infatti la stessa piattaforma motore della Rocket III. Il propulsore da 2294 cc tre cilindri, in linea, a iniezione elettronica, 12 valvole è in grado di generare una coppia davvero elevata (209 Nm) già a 2000 gir/min. L’alesaggio per corsa è uguale a 101.6 x 94.3mm.Relativamente alla trasmissione finale è adoperato l’albero cardanico. La frizione invece è un multidisco a bagno d’olio. Altro elemento degno di nota è l’efficiente cambio a 5 marce. Anche la ciclistica è di alto livello. Il telaio è in tubi d’acciaio come del resto il forcellone. I freni invece montano due diverse tipologia di pinze. L’anteriore monta pinze Nissin a 4 pistoncini, mentre il posteriore pinze Brembo a 2 pistoncini. Le sospensioni sono kayaba ed hanno una regolazione tale da garantire massimo comfort sulle lunghe distanze. Massimo comfort che viene altresì garantito dalla sella costruita con due strati separati di imbottitura di densità diverse e avente cucitare nastrate ond’evitare la permeabilità. Spiccano inoltre le pedane in alluminio cromato e la leva del cambio totalmente regolabile, oltre al parabrezza basso a sganciamento rapido con meccanismo in acciaio inossidabile e l’innovativo tachimetro posto sull’inedito serbatoio privo di saldature.Altro elemento di interesse è la possibilità di aggiungere a questa moto due capienti borse da 39 litri (in pendant col mezzo) a sganciamento rapido, che possono essere chiuse con la stessa chiave d’accensione. Queste dunque sono gli elementi che contraddistinguono la nuova Triumph Rocket III touring.
Altre info circa i colori e il prezzo sono disponibili sul sito ufficiale della triumph