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giovedì 23 luglio 2009

Le Custom di casa Kawasaki


Dal sito Motociclismo:
http://www.motociclismo.it/edisport/moto/MotoCiclismoR2.nsf/gd/Kawasaki-VN900-Classic-3-Le-Kawa-Custom

In alcuni mercati le Kawasaki Custom sono conosciute col nome Vulcan. Ecco la storia Nel 1984 compare la prima VN750 (a sinistra). Due cilindri a V raffreddati a liquido e la sella ampia quanto una poltrona. In Italia resta un mezzo quasi sconosciuto. A metà degli Anni '90, la cilindrata cresce e arriva la VN800 (a destra). L’aspetto ricorda le Harley-Davidson FX, con la ruota anteriore di grande diametro e un aspetto Yankee. I cilindri, benché raffreddati a liquido, sono alettati e i coperchi delle teste cromati simili ai Shovelhead americani. Nel 1999 Kawasaki decide di abbandonare lo stile H-D e dà vita a una moderna interpretazione di un altro Marchio USA: la Indian. La nuova custom di Akashi arriva in Italia con il nome di Drifter nelle cilindrate 800 e 1.500 cc. L’aspetto eccessivamente rétro non colpisce positivamente l’esigente mondo customista e la Drifter sparisce presto dal mercato; in pratica un flop . Col nuovo millennio la scelta dell'Azienda è legata a soluzioni classiche, con la VN800 che rimane in catalogo subendo variazioni minime, fino all’arrivo della nuova VN900.

venerdì 17 luglio 2009

Storia dell'Harley Davidson



La prima guerra mondiale
Inizi
La Harley-Davidson nacque quasi in sordina nel 1901 a Milwaukee quando William Harley, di 21 anni, e Arthur Davidson, di 20, costruirono un prototipo di una bicicletta motorizzata. Questo mezzo venne realizzato nel garage di Davidson che misurava 3 metri per 5. Il loro prototipo funzionò e alla società si unirono i due fratelli di Davidson, William e Walter. Nei primi due anni furono venduti solo tre esemplari. La Harley-Davidson venne fondata il 28 agosto 1903 e da questa data cominciò la produzione. Furono apportati molti cambiamenti al prototipo tra i quali un telaio di nuova progettazione. Nonostante questo la produzione di quell'anno rimase di tre moto. Nel 1906 venne costruito il loro primo stabilimento, in Juneau Avenue, dove ancora oggi si trova il quartiere generale della ditta. Il garage originale venne demolito accidentalmente durante la costruzione del nuovo edificio. Questo nuovo impianto misurava 9 per 24 metri. La produzione delle Harley-Davidson crebbe gradualmente e con i nuovi impianti fu possibile produrre, nel 1907, 150 motociclette. Il 17 settembre viene ufficialmente fondata la Harley-Davidson Motor Company. Questo anno si rivelò importante per la casa in quanto cominciò la vendita, che dura tutt'ora, delle prime moto alle forze di polizia. Le prime moto erano tutte monocilindriche. Il primo motore bicilindrico a V di 45° venne introdotto nel 1909, il V-Twin. Questo motore non era ancora il cavallo da tiro che è divenuto attualmente. La sua cilindrata era di soli 810 cc (49,6 in 3) e erogava 7 hp (5 kW), che comunque era una potenza doppia rispetto a quella fornita dai precedenti propulsori. La velocità massima che potevano raggiungere le moto di questo periodo era di 97 km/h, un valore che poteva essere considerato buono per quell'epoca. La produzione fu di 1.149 esemplari. Il successo della Harley-Davidson le attirò molti concorrenti, tanto che nel 1911 se ne annoveravano circa 150. Nel 1913 lo stabilimento originale venne ingrandito e raggiunse una superficie di 28.000 m2. Nonostante la dura competizione la Harley-Davidson restava il costruttore più importante e dominava anche le competizioni motociclistiche. In questo anno la produzione raggiunse i 12.904 esemplari.
Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono nel conflitto che da tre anni si era scatenato in Europa. I militari richiesero delle moto da poter utilizzare nelle operazioni. Le Harley-Davidson erano già state provate dalle forze armate durante le schermaglie di confine contro Pancho Villa, ma fu solo con la prima guerra mondiale che le motociclette furono adottate in grandi numeri; La società ne fornì circa 45.000 esemplari. Queste moto erano di cinque modelli, due monocilindriche e tre bicilindriche (18F monomarcia 18G e 18J dotate di tre marce) di circa 1000 cc di cilindrata. Nello stesso tempo la ditta consolidava la sua posizione di fornitore delle forze di polizia. Anni '20 e '30
Nel 1920 la Harley-Davidson era divenuto il più grande costruttore di motociclette al mondo. La fine del conflitto aveva portato ad un periodo di crisi nel quale molte piccole case erano scomparse mentre la casa del Wisconsin aveva sviluppato la sua rete di vendita ed ora era presente in 67 paesi producendo 28.189 motociclette. Il 28 aprile 1921 fu raggiunta una pietra miliare nella storia del motociclismo quando una Harley-Davidson fu la prima moto a raggiungere i 160 km/h (100 mph). Durante questo periodo vennero introdotti diversi cambiamenti tra i quali un nuovo motore bicilindrico a V da 1.200 (74 in3) cc di cilindrata (1922), il tipico serbatoio detto Teardrop (lacrima) che può ancora oggi essere visto sulle moto (1925) e il freno anteriore (1928). Nel 1926 la Harley-Davidson decise di ritirarsi dalla competizioni a causa dei forti investimenti richiesti. Con la Grande Depressione degli anni trenta solo due costruttori restarono in attività: la Indian e la Harley-Davidson.


Seconda guerra mondiale Con l'entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale la Harley-Davidson ritornò a produrre, in grandi numeri, motociclette per le forze armate. I modelli prodotti erano la WLA e la XA. Quest'ultima era una copia della BMW utilizzata dalla Wehrmacht e, come l'originale era dotata di un motore bicilindrico boxer. Fu l'esercito statunitense stesso che richiese di produrre una copia di questa moto in quanto i militari erano rimasti impressionati dalla scarsa manutenzione necessaria e dalla sua grande affidabilità. In totale la Harley-Davidson produsse durante il secondo conflitto mondiale 88.000 motociclette. Di queste solo 1.000 furono delle XA. Le moto surplus andarono ad alimentare il mercato post-bellico europeo. Furono adottate da molte forze armate e per alcuni aspetti alimentarono il sogno americano degli europei. Per fare un esempio nel famosissimo film Un americano a Roma, Nando Meniconi (Alberto Sordi) guida una di queste moto, una WLA 750, nota come "liberator" Con la fine del conflitto la ditta ritornò alla produzione civile con la messa in commercio di un grande numero di bicilindriche di grande cilindrata che conobbero il successo sia commerciale che sportivo. Il dopoguerra, la crisi degli anni settanta, il rilancio. Uno dei modelli più riusciti della storia Harley-Davidson, lo Sportster fu realizzato il 27 Gennaio 1957 e messo in produzione lo stesso anno. La semplicità motoristica e della linea ne decretarono il successo sia come modello da strada che da pista nella versione "R". Ancora oggi è possibile trovare in catalogo diversi allestimenti dello Sportster. Nel corso degli anni si ebbero diverse cilindrate tra le quali ricordiamo il 750, il 1000 Iron Head ed i motori "Evolution" 883 e 1200. Agli inizi degli anni settanta la Harley-Davidson aveva cessato di essere una industria innovativa in campo motociclistico, le sue moto erano rimaste fondamentalmente immutate da parecchi anni ed erano costose. La maneggevolezza e la qualità erano inferiori a quelle delle moto giapponesi dell'epoca. Nel 1969 la Harley-Davidson Motor Company era stata acquistata dalla AMF (American Machine and Foundry), divenendo AMF-Harley-Davidson. La AMF continuò la produzione riducendo drasticamente la forza lavoro. Questo atteggiamento portò ad uno sciopero dei lavoratori ed un abbassamento della qualità. Le vendite diminuirono, la qualità precipitò e la compagnia rischiò la bancarotta. Vennero anche coniati dei giochi di parole sul, una volta riverito, nome della ditta che venne chiamata Hardly Ableson (gioco di parole che può essere tradotto come a stento capace in inglese hardly able, il -son dovrebbe derivare da Davidson) mentre il soprannome Hog, Harley Owners Group, aveva assunto una valenza, nello stesso tempo, affettuosa e dispregiativa (maiale). Fu però in questo periodo che la AMF-Harley-Davidson, grazie al reparto corse della incorporata Aermacchi, riuscì a conquistare gli unici titoli iridati della sua storia. Nelle stagioni 1974, 1975 e 1976 del Campionato mondiale di velocità, le moto italo-americane, condotte da Walter Villa, mieterono innumerevoli vittorie nei Gran Premi, aggiudicandosi quattro titoli piloti e due titoli costruttori, nelle classi 250 e 350. Nel 1981 l'AMF rivendette la Harley-Davidson ad un gruppo di 13 investitori guidati da Vaughn Beals e Willie G. Davidson. Venne introdotto il modello Sturgis. Per riportare in attivo la ditta vennero studiati i metodi seguiti dai concorrenti e in particolare dai costruttori giapponesi. Vennero introdotte quindi delle novità quali il sistema MAN (Material As Needed) che consisteva in un monitoraggio costante dell'inventario in modo che fosse stoccato solo quanto necessario e altri sistemi di qualità. Lentamente la ditta aumentò le vendite e gradualmente catturò un nuovo flusso di fedeli acquirenti di moto Harley-Davidson. Fu però solo con l'introduzione del modello Softail Custom nel 1984 (FXSTC coda soffice - un sistema di ammortizzatori adeguatamente posizionati ed occultati ad imitazione della linea dei vecchi telai rigidi delle Hydra Glide ed un nuovo motore, l'Evolution da 1340 cc), che l'Harley tornò ad esser leader nel mercato delle moto di grande cilindrata (sopra i 750 cc). Il Fat Boy in seguito nel 1990 confermò la grande ascesa della casa di Milwaukee. Il nome scelto per questa moto scatenò una controversia. Si disse che era ispirato al nome di una delle bombe atomiche sganciate sul Giappone nella seconda guerra mondiale. La ditta negò decisamente questo legame e affermò che il tutto era frutto di una pura coincidenza. Dal punto di vista commerciale piuttosto che inseguire i concorrenti sul loro stesso terreno il nuovo management decise di accentuare lo stile retrò della produzione puntando a costruire delle moto che deliberatamente adottassero il look, personalizzazioni comprese, delle prime motociclette e riproponessero le sensazioni che queste facevano vivere ai loro proprietari. La qualità crebbe e furono introdotti anche dei miglioramenti tecnologici. Questo però avvenne gradualmente senza che venisse stravolto il progetto originale delle moto. Le nuove Harley-Davidson sono in un certo senso delle future classiche ed è questa probabilmente la ragione del mantenimento del loro valore rispetto ad altre moto. Una moto in buone condizioni può addirittura arrivare a non perdere affatto valore, naturalmente se viene effettuata una regolare manutenzione e si limitano le personalizzazioni. Paradossalmente la Harley-Davidson produce più profitti con l'utilizzo su licenza del suo marchio per la produzione di merchandise che con la vendita delle motociclette. Nel 1997 la Ford Motor Company produsse una versione Harley-Davidson, con tanto di marchio aziendale, di un suo veicolo commerciale della F-Series. Questo tentativo verrà seguito nel 2006 da un pick up Ford F-150 sempre Harleyzzato.

Espansione del marchio ed evoluzioni produttive. Nel 1998 la Harley-Davidson ha acquistato Buell Motorcycle Company con cui collaborava da anni. Infatti la Buell nacque da una collaborazione tra la ditta di Milwaukee e Eric Buell, ex ingegnere della ditta stessa. Inizialmente veniva montato il motore della Harley-Davidson Sportster su un telaio progettato da Buell. Nel 1999 viene prodotto il primo motore Twin Cam 88 (1450 cc)e compare la prima iniezione elettronica sui motori Harley. Nel 2000 esce il primo motore Twin Cam 88 controbilanciato, con il pressoché totale annullamento delle vibrazioni del motore, che viene montato sui modelli Softail. Nel 2001 Harley Davidson commercializza la V-Rod, ultima nata, con un look che coniuga la tradizione con la modernità. Il motore è un bicilindrico raffreddato a liquido dalla potenza di 120 cavalli, realizzato in collaborazione con Porsche. Viene dato a metà 2006 l'annuncio che, la nuova gamma Harley Davidson 2007 eliminerà il carburatore dai modelli 883 e 1200, gli ultimi ad usare questo sistema di alimentazione, mentre i motori dei restanti modelli passeranno a 1584cc. L'11 luglio 2008 è stata riportata la notizia che la Harley Davidson abbia concluso un accordo per la rilevazione del gruppo italiano MV Agusta per circa 70 milioni di euro (109 milioni di dollari) per espandere il proprio business in Europa[1].



I motori della Harley-Davidson Il motore classico della Harley-Davidson è il bicilindrico a V con i cilindri inclinati di 45°, il cui progetto è coperto da numerosi brevetti. Le bielle di questo tipo di motore sono vincolate ad un'unica manovella dell'albero motore. Questo fa si che venga prodotto il caratteristico rumore di scarico (reso in inglese come potato-potato). Infatti si viene a creare una differenza di 405° tra uno scoppio e l'altro di ogni cilindro. La Harley-Davidson cercò anche di brevettare il suono del suo motore ma nel 2000, dopo anni di controversie, di cui non si vedeva la fine, con gli altri costruttori che affermavano al contrario che ogni motore bicilindrico con le stesse caratteristiche tecniche del motore Harley produce quello stesso rumore, ha ritirato la sua richiesta. I primi modelli Harley-Davidson avevano dei motori sperimentali, a questi seguirono: Sportster Evolution Harley Davidson V-Rod Primi modelli Flathead, 1929-1974, 700 cc (45in 3) I grandi bicilindrici Knucklehead, 1936-47, 1.000 cc (61in3) e 1.200 cc (74in 3) Panhead, 1948-65, 1.000 cc (61in3) e 1.200 cc (74 in3) Shovelhead, 1966-85, 1.200 cc (74 in3) e 1.300 cc (80 in3) dalla fine del 1978 Evolution (detto anche "Evo" o "Blockhead"), 1984-99, 1.340 cc (80 in3) Twin Cam 88 (detto anche "Fathead"), dal 1999 ad 2006, 1.450 cc (88in3) Twin cam 95 di 1545 cc , montato sul modello 2005 fatboy 15°anniversary, e disponibile anche con il Kit di trasformazione BigBore per i motori 1450cc Twin Cam 96 di 1584 cc , montato sui modelli 2007 delle famiglie DYNA - SOFTAIL - TOURING. Gli Sportster Ironhead, 1967-1984, 883 poi portato a 1000 cc Sportster (versione più piccola del motore Evolution), dal 1986 ad oggi, cilindrate da 883 e 1200 cc Il nuovo motore Revolution a 60°, raffreddato a liquido e creato in collaborazione con la Porsche Revolution dal 2002 al 2007 1.130 cc, dal 2008 ad oggi 1.250 cc , utilizzato esclusivamente sulle VRSC.


Modelli e loro designazione
La designazione dei modelli della Harley-Davidson può essere estremamente lunga , per esempio FLHTCSE, e alcune combinazioni non hanno senso se si seguono le guide pubblicate. In generale, la prima lettera F significa Big Twin, M - Military, X - Sportster, or V - V-Rod. Altre iniziali comprendono: B - Belt Drive, C - Classic o in qualche caso Custom, D - Dyna Glide, DG - Disk Glide, E - Electric start, F - Fatboy, H - High compression, L - forcelle Hydra Glide, LR - Low Rider, P - Police, R - Race o Rubber mount, S - Sport o Springer, SB - Single belt final drive, ST - Softail, T - Touring, WG - Wide Glide. Nei nuovi modelli le prime due lettere che iniziano con FX indicano la presenza di pedalini per i piedi, mentre FL viene usato per i modelli con le pedane. In aggiunta alle precedenti designazioni questi numeri o lettere possono, in qualche caso, venire aggiunti: 2,3,4 - Custom Vehicle Operations, I - Fuel injection, SE - Screamin' Eagle, U - Ultra Caveat. In ogni caso queste regole sono infrante regolarmente. Esistono peraltro modelli speciali, di produzione limitata, non distinti da sigle specifiche ma spesso numerati. Tra questi, ad esempio, la Electra Glide Classic Liberty Edition, realizzata nel 1986 e di cui si contano circa 600 esemplari. Uno di questi è conservato a Roma, in perfette condizioni.


Qui di seguito vengono elencate le 6 famiglie di Harley-Davidson: Famiglia Sportster Famiglia Dyna Famiglia Softail Famiglia Touring Famiglia VRSC Famiglia CVO



Commemorazioni Nel 2003 la Harley-Davidson Motor Company ha celebrato il suo 100° compleanno. Durante il fine settimana della Festa del Lavoro la città di Milwaukee (dove la Harley-Davidson è nata e tuttora mantiene il suo quartier generale) ha ospitato il più grande raduno di Harley-Davidson, se non il più grande raduno motociclistico, della storia. La Mo.Co. per commemorare l'evento ha messo in commercio per tutti i modelli 2003 l'edizione 'centenario', molto ricercata, con speciali colorazioni e serbatoi, oltre ad una nuova serie di abbigliamento. Il 12 luglio 2008 a Milwaukee, sotto la spinta e il patrocinio dei vertici della Harley Davidson, viene inaugurato l'Harley-Davidson Museum che raccoglierà modelli vecchi e nuovi[2].


giovedì 16 luglio 2009

Storia della Triumph



Storia Triumph: in questa pagina troverete tutte le informazioni relative al passato del marchio Triumph, e quindi le origini, le evoluzioni, i cambiamenti, i fallimenti, la rinascita e tutto quello che si è avvicendato nell' arco degli ultimi oltre cento anni.

Pre 1900 - LE ORIGINI
Le radici di Triumph affondano fino agli ultimi anni del 1800, quando l’uomo d’affari tedesco Siegfried Bettmann lasciò Norimberga e si stabilì a Coventry. Dapprima coinvolto nella vendita di macchine da cucire, colpito dalla grande passione per la bicicletta di tutta l’Inghilterra vittoriana, decise di entrare in questo settore. All’inizio si limitò ad acquistare bici dalla William Andrews, a Birgmingham, per rivenderle con il marchio Triumph (scelto perché comprensibile per tutti gli idiomi europei). Nel 1887, due anni dopo l’inizio della sua avventura, fu affiancato da Mauritz Schulte, anch’esso proveniente da Norimberga, ed entrambi si resero conto che il futuro sarebbe stato nella realizzazione in proprio delle biciclette. Trovarono la struttura idonea a Coventry e, nel 1889, cominciarono la produzione. Si avvicinava la fine del secolo e il motore a combustione interna cominciava a riscuotere interesse, così l’ingresso nel mondo delle motociclette fu il passo successivo per la Triumph Cycle Co.

1900
Nel 1902 la prima moto uscì dalla fabbrica di Coventry. Chiamata N°1, si trattava essenzialmente di una bici con telaio rinforzato e un piccolo motore Minerva da 2,25cv appeso al tubo obliquo. La trasmissione avveniva tramite una cinghia collegata alla ruota posteriore e comandata dall’albero motore; i pedali, la corona e la catena erano stati mantenuti. Schulte era un perfezionista e scelse un motore Minerva poiché la tecnologia belga era a quel tempo la più avanzata. Alla fine del 1905, Schulte, in collaborazione con Charles Hathaway – direttore della fabbrica nonché designer dotato e buon pilota -, realizzarono la prima motocicletta interamente Triumph, la Model 3HP. Dotata di un motore monocilindrico da 363cc, capace di 3cv a 1.500 giri, poteva spingersi ad una velocità massima di 70km/h. Schulte decise di concentrarsi sul perfezionamento e lo sviluppo di questo mezzo e, mentre altri produttori cercavano di bruciare le tappe, Triumph proseguì su questa strada senza mai smettere di verificare le sue motociclette.La cilindrata crebbe col passare degli anni e, nel 1908, il motore era salito a 476cc, la potenza a 3,5cv, ed era stato adottato un variatore per permettere di affrontare le salite più ripide.La vittoria al TT con Jack Marshal, nello stesso anno, fu una ulteriore conferma dell’affidabilità e del valore della moto. Ed è in quell’occasione che nacque lo slogan “Otto Triumph alla partenza, e otto all’arrivo”.


1910
Le Triumph si erano guadagnate la fama di buone moto e, nel 1910, fu fatto un passo avanti per renderle anche più pratiche. Fu introdotto il meccanismo “free engine” che consentiva di metterle in moto lasciandole sul cavalletto, anziché doverle spingere o pedalare furiosamente per 30 metri. All’inizio della Grande Guerra, la Type A aveva un motore da 550cc capace di 4cv, e furono queste doti a convincere il Governo britannico a fare un ordine per dotare tutti i portaordini al fronte. Quella che ora è ricordata come la leggendaria Type H prese servizio a partire dal 1914 e, forse per esorcizzare le terribili condizioni che doveva affrontare venne soprannominata “la Fidata”.Il decennio si concluse con una nota stonata. Nel 1919 Schulte lasciò l’azienda perché in disaccordo con Bettmann, il quale voleva diversificare l’attività di Triumph.


1920
La decisione era stata presa. Nei primi anni ’20, Bettmann acquistò una ex fabbrica di auto a Coventry, fondò la Triumph Motor Co e cominciò la produzione di una berlina con motore da 1,4 litri. Questa divagazione dal mondo delle due ruote fu l’inizio della fine della fortuna di Bettmann. Sul fronte motociclistico, due anni dopo la fine della guerra, Triumph diede alla luce l’ennesima evoluzione della sua moto – la Type SD –, con trasmissione finale a catena il luogo di quella a cinghia. La cilindrata di 550cc non le consentiva però di partecipare al Senior TT, così gliene fu affiancata un’altra, con un nuovo motore monocilindrica da 500cc. La Riccy, questo il suo nome, avrebbe conquistato molti record di velocità compreso quello sul miglio, con una velocità di 135km/h. Seguirono altri modelli, come la Model P, entry level che vendette oltre 20.000 esemplari, a la TT (o Two Valve, come fu soprannominata), che divenne il fulcro della gamma Triumph.



1930
Mentre Bettmann aveva preso la decisione che lo avrebbe rovinato, altri come John Young Sangster, stavano cominciando a muoversi sul mercato. Conosciuto come Jack, John era il figlio di Charles Sangster, al timone di una importante azienda meccanica – la Components Ltd – proprietaria della Ariel nota per la qualità delle moto che produceva. Come accadde a Triumph, anche la Components Ltd soffrì la Grande Depressione e, nel 1939, fu costretta a chiudere. Jack, però, grazie alle sue intuizioni, al suo patrimonio e all’applicazione dei principi tanto cari a Schulte (razionalizzazione e focus su pochi modelli) riuscì a rimettere in piedi la Ariel. Nel frattempo, Triumph stava soffrendo e le auto, in modo particolare, faticavano a produrre utili. Così le biciclette e le moto, che continuavano ad essere prodotte sotto il marchio Triumph Cycle Co, furono sacrificate. Dapprima la divisione bici, nel 1932, quattro anni dopo, quella moto, acquistata da Jack Sangster. Per ironia della sorte, Val Page, ex-uomo Ariel e talentuoso progettista di motori, aveva da poco cominciato a lavorare in Triumph e a disegnare una gamma di motociclette totalmente nuove. Sangster mise subito due ex-colleghi Ariel di Page alla neonata Triumph Engeneering Co Ltd: Edward Turner come direttore dello stabilimento, e Bert Hopwood come designer. Il 1937 si rivelerà come un anno fondamentale per la storia di Triumph, con il lancio di una gamma rinnovata di monociclindrici (la serie Tiger) oltre alla sorprendente Speed Twin da 498cc (T100). Questo modello rivoluzionò il motociclismo: partiva bene, andava bene, toccava una velocità di punta di 145km/h. In poche parole definì le caratteristiche che una moderna motocicletta avrebbe dovuto avere.



1940
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale diede una diversa direzione alle aspirazioni commerciali di Triumph, in quanto la produzione fu dirottata verso le Forze Armate. Un prototipo di bicilindrica da 350cc – il 3TW – era pronto e già approvato come moto standard per l’esercito quando, la notte del 14 novembre 1940, lo stabilimento di Coventry fu completamente distrutto da un blitz tedesco. Senza perdersi d’animo, la produzione fu ripresa nello stabilimento provvisiorio di Warwick, mentre una nuova fabbrica fu costruita a Meriden. I nuovi impianti furono operativi nel 1942. Sul finire degli anni ’30, la Speed Twin acquistò credito fra gli appassionati delle gare di flat racing americane e, quando le ostilità cessarono, Turner intuì le potenzialità del mercato statunitense. Durante la guerra aveva saggiamente mantenuto i contatti con Bill Johnson, distributore per Triumph sulla Costa Ovest, e nel 1945 lo andò a trovare per cementare la relazione.Nel dopoguerra, la gamma consisteva in tre modelli – la Tiger 100, la Speed Twin e la più piccola 3T, una tourer da 349cc – e, nel 1946, l’irlandese Erenie Lyons vinse il Manx Grand Prix guidando una T100, davanti a parecchie Norton. Entro la fine del decennio, l’aspetto di queste moto si era evoluto e ora contemplava anche un faro e la strumentazione, racchiusi in un cruscottino, (caratteristica unica e immediata per quei tempi). Furono aggiunti alla gamma due nuovi modelli, la Trophy, una off-road con motore da 500cc, e la Thunderbird, da 645cc, realizzata per soddisfare la richiesta di potenze più elevate, del mercato americano.


1950
Fu un decennio d’oro per Triumph, sebbene iniziato con la vendita dell’azienda ai rivali della BSA. Triumph continuò tuttavia ad essere amministrata separatamente e, nel 1953, una nuova famiglia di moto vide la luce insieme all’avvento dell’OHV Terrier da 149cc. Un anno dopo fu la volta della Tiger Cub da 199cc, che diventò una moto molto popolare, e della Tiger 110, in pratica una trasformazione in chiave sportiva della Thunderbird bicilindrica da 645cc, dotata di sospensione posteriore con forcellone oscillante e freno anteriore maggiorato. Due anni più tardi Johnny Allen stabilì il nuovo record mondiale di velocità sul lago salato di Bonneville (343km/h), con un veicolo dotato di motore Triumph 649cc. Il record fu però annullato a causa di sospetti problemi ai rapporti, ma fu di ispirazione per uno dei modelli che faranno la storia del marchio inglese. La Bonneville T120.Essenza dello spirito café racer, la Bonneville aveva il giusto look spartano ma, soprattutto, le prestazioni. Era una vera special, e fece la sua comparsa proprio nel momento giusto per trarre il massimo vantaggio da quello che sarebbe stato un decennio altrettanto speciale.


1960
Gli anni ’60 furono un periodo favoloso per il motociclismo in generale e per Triumph in particolare. La Bonneville ebbe un successo incredibile, e divenne la bicilindrica sportiva per eccellenza sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti, e le vittorie nel TT e a Daytona moltiplicarono la sua fortuna. La valenza sociale della motocicletta era al culmine. Per molte persone era ancora il mezzo di trasporto più comune, ma cominciò anche ad apparire nei film più famosi dell’epoca, accanto a star come Marlon Brando e Steve McQueen. Inoltre, nel pieno della ribellione giovanile, la moto era vista ed utilizzata come uno strumento di emancipazione, e fra i ragazzi si diffuse il culto delle café racer. Le vendite di Triumph raggiunsero il picco di 50.000 moto l’anno, con una percentuale del 60% destinata ai mercati stranieri, principalmente gli Usa.Harry Sturgeon, ex-direttore di una sussidiaria del gruppo BSA, subentrò a Turner nel 1967 e proseguì la politica tanto cara a Triumph di “evoluzione, non rivoluzione”. Ma indiscrezioni che prospettavano l’imminente arrivo di una settemmezzo giapponese non potevano essere ignorate, quindi Sturgeon diede il via allo sviluppo di un motore tre cilindri da 750cc. Il progetto si concretizzò nella Triumph Trident (T150) e nella BSA Rocket Three.



1970
Un periodo nero per Triumph. Sturgeon morì dopo soli tre anni dal suo insediamento e gli successe Lionel Jofeh, un uomo che, come lui, veniva dall’esterno del business. Non durò a lungo e fu rimpiazzato da Brian Eustace. Il management del gruppo BSA era sottoposto a un continuo turn-over e non si riuscivano a definire strategie concrete. Per ironia della sorte, il motore tre cilindri si stava dimostrando quasi imbattibile e, come “slippery Sam” si aggiudicò per cinque anni di fila – dal ’71 al ’75 – il TT nella categoria IoM Production, oltre a numerose gare di Formula 750. I problemi interni e l’offensiva giapponese misero in breve tempo Triumph in ginocchio, con il gruppo BSA che, nel 1971, registrò una perdita di 8,5 milioni di sterline. L’anno successivo, un nuovo rosso di 3,3 milioni di sterline portò il Governo a sponsorizzare una manovra di aiuto. Nel 1973 fu creata la società Norton-Villiers-Triumph e, contro la volontà dei dipendenti, la produzione di Triumph fu spostata nello stabilimento BSA di Small Heath, a Birmingham. Il risultato fu un sit-in dei lavoratori di Meriden che durò quasi due anni. Terminò nel marzo 1975, allorché una cooperativa di lavoratori fu impiegata nella produzione della Bonneville, in configurazione da 750cc, destinata soprattutto al mercato Usa. Sebbene durante questo periodo furono realizzati un paio di modelli degni di nota – la Bonneville Jubilee Special e la T140D Special, con cerchi in lega – i presagi erano infausti.


1980
Lo stabilimento di Meridien chiuse agli inizi del 1983. Il denaro era finito e la liquidazione fu la conseguenza inevitabile, insieme alla vendita delle attività dell’azienda. Nel 1984 fu raso al suolo e al suo posto furono costruite delle abitazioni. Molti videro la fine di Triumph e dell’intera industria motociclistica britannica. Per fortuna non fu così. L’imprenditore immobiliare John Bloor acquistò il marchio Triumph e costituì una nuova società, interamente con capitale privato, la Triumph Motorcycles Limited. All’inizio si limitò a dare licenza alla Racing Spares (un’azienda nel Davon che in passato realizzava parti per Triumph) di costruire l’incarnazione della Bonneville, principalmente per mantenere in vita il marchio. Intanto la nuova società pianificava le politiche per tornare a giocare un ruolo di primo piano sul mercato mondiale. I progetti che Bloor si ritrovò sul tavolo erano ormai datati e per lo più inservibili, così gli ingegneri dovettero rimettersi al tavolo da disegno. Dal 1985, per tre lunghi anni, mentre alla Racing Spares si continuavano a costruire Bonneville, la nuova Triumph lavorò in segreto, nel silenzio totale. Fu realizzato un nuovo stabilimento ad Hinckley, nel Leichestershire, e fu progettata un’intera gamma di moto a tre e quattro cilindri, raffreddati a liquido, con quattro valvole per cilindro e distribuzione a doppio albero. Qualcosa di assolutamente differente da quanto Triumph aveva realizzato finora.


1990
Nel settembre 1990, al salone di Colonia, furono presentate alla stampa sei nuove moto. Realizzate intorno a due tipologie di motore, questi modelli – le nude Trident 750 e 900, a tre cilindri, la tourer Trophy 900, a tre cilindri, e 1200, a quattro cilindri, la sportiva Daytona 900, a tre cilindri, e 1000, a quattro cilindri – sfruttavano il concetto di modularità, nel senso che utilizzavano molte parti comuni. Furono ben accolte e la gamma si evolse in pochi anni. Fu però l’avvento della Speed Triple, nel 1994, che sorprese la stampa e colpì il pubblico. Come la Thunderbird si tramutò nella Bonneville degli anni ’50, così la Speed Triple riprese lo stile café racer. Aveva carattere da vendere, un motore performante e quell’aspetto rude che affascina. Fu anche affiancata da una serie racing per mostrare al pubblico di cosa fosse capace su un circuito. La costante crescita dei volumi di vendita diede la possibilità di abbandonare la politica della modularità e, nel 1995, la T595 Daytona fu presentata a un pubblico impaziente. Abbandonata l’alimentazione a carburatori, il suo motore a tre cilindri poteva contare su un sofisticato sistema ad iniezione, una rarità per quei tempi. Aveva inoltre un telaio invidiato dalla maggior parte delle moto sportive allora in circolazione, che sottolineava come Triumph non fosse solo una delle aziende sul mercato, ma una di quelle destinate a indicare la strada. Il motore a iniezione fu in seguito utilizzato per spingere la Tiger, la Speed Triple, e un nuovo modello presentato nel ‘98, la sport-tourer Sprint ST. La fine del decennio vide anche una crescita della struttura produttiva, con il completamento di un secondo stabilimento a Hinckley.


2000
L’alba del 21° secolo salutò la produzione della 100.000sima moto nello stabilimento di Hinckley e la presentazione di due nuovi modelli. La prima – la TT600 – si confrontava sul terreno delle sportive di media cilindrata. Equipaggiata con un motore da 599cc, quattro cilindri in linea, a iniezione, incorniciato in un telaio elogiato da tutti, era l’unica moto non giapponese della categoria. Ma la novità forse più importante per Triumph fu la seconda, la Bonneville. Con un evocativo motore bicilindrico parallelo, raffreddato ad aria, la nuova Bonnie combinava il look, le sensazioni e il carattere della leggendaria T120 degli anni ’60. Il successo fu immediato e portò alla realizzazione della Bonneville America, rivisitazione in stile cruiser, disegnata per i motociclisti di oltreoceano. A questo punto, il fato intervenne di nuovo.Proprio quando Triumph si stava preparando ad affrontare la nuova stagione, lo stabilimento fu devastato da un incendio. Le fiamme del 15 marzo 2002 distrussero completamente i magazzini, l’area dello stampaggio, le linee dei telai e di assemblaggio, mentre il resto della fabbrica fu seriamente danneggiata dal fumo. Senza scoraggiarsi, sebbene l’incendio fosse stato uno dei più grossi nella storia dell’industria britannica, alla Triumph si misero al lavoro e, dopo sei mesi la nuova fabbrica fu operativa. Il reparto ricerca e sviluppo non fu danneggiato così, prima ancora che lo stabilimento riaprisse, fu presentata al pubblico la Daytona 600, supersport con motore a quattro cilindri. La sua nascita coincise con il ritorno di Triumph alle gare. La Daytona 600 partecipò con successo al Campionato Britannico Supersport nel 2003 e 2004, e conquistò la vittoria al TT dell’isola di Man alla sua prima partecipazione.Altri modelli hanno visto la luce, come l’incredibile Rocket III - prima moto di serie a superare il limite dei 2.000cc -, e le nuovissime Sprint ST e Speed Triple.Alla luce del programma di costante sviluppo dei modelli e dei massicci investimenti nelle strutture, chissà cosa ci riserverà la seconda metà del decennio…

Harley Davidson 104 anni di leggenda

HARLEY-DAVIDSON:104 ANNI DI LEGGENDA



Dal sito: Motocicliste
William Harley e Arthur Davidson erano due amici, appassionati di natura e meccanica. All’inizio del ‘900, ebbero l’idea di applicare un motore ad una bicicletta e la costruzione del prototipo fu inaugurata nel 1903, tra lo scetticismo di tutti. La leggenda tramanda che il carburatore di questa prima moto sia stato realizzato utilizzando una latta di conserva di pomodoro! In ogni caso il motore erogava 3 cavalli, producendo una velocità massima di 40 km/h e si frenava retropedalando. Già nel 1905, una moto H-D vince una competizione a Chicago e nel 1906 la fabbrichetta di motori, allestita in una baracca sulle rive del lago Mchingan, si trasforma in una spaziosa azienda, iscritta nel Registro del Commercio e delle Imprese degli Stati Uniti nel 1907 e composta da un nutrito gruppo dirigente. La fama dell’Harley-Davidson Motor Company si espande rapidamente, ma i fondatori non si fermano ai primi traguardi raggiunti, finché nel 1909 mettono a punto la prima bicilindrica con configurazione a 45° gradi, che diventa l’icona della casa americana e tre anni più tardi viene presentata la prima V-Twin a marce.Negli anni seguenti le motociclette Harley sono state ufficialmente adottate dalle forze di polizia americane, è cominciata la loro esportazione e, con la prima guerra mondiale, sono state adottate in gran quantità. Hanno perciò non solo scritto una pagina di storia, ma alimentato e simboleggiato il mito europeo del sogno americano, come ci racconta anche il celebre film Un americano a Roma, nel quale Alberto Sordi guida una WLA 750 liberator. Intorno agli anni ’70 la compagnia subisce una crisi creativa e produttiva: i modelli rimangono immutati per un lungo periodo di tempo, il loro prezzo è elevato e il tutto non le rende competitive rispetto alla produzione giapponese, finché nel 1981 viene rimessa in moto la complessa macchina ingegneristica e organizzativa dell’Harley, che torna ad essere leader nel mercato delle moto di grande cilindrata. Vengono apportate molte innovazioni, ma mantenute le caratteristiche tipiche che distinguono la motocicletta americana. Tutte le novità tecnologiche e di merchandise sono attualità.

Recentemente la casa di Milwaukee si sta aprendo al mondo femminile. In particolar modo, i modelli Sportster 883 e 1200, ad esso dedicati e che abbiamo potuto testare noi motocicliste durante il tour in Sicilia dal 2 al 4 aprile, vengono prodotti dal 1985, e sono dei gioiellini che partono dal prezzo di 8.100 euro in su: un sogno accessibile!